L’europeismo riluttante di Giorgia Meloni

di SERGIO SIMEONE* – Giorgia Meloni, si sa, ha avuto con l’Unione europea un rapporto non coerente:  ha fatto il pieno di voti con una campagna elettorale caratterizzata da forti critiche nei confronti dell’Europa, che hanno assunto toni, talvolta, anche minacciosi (chi non ricorda il memorabile “ è finita la pacchia ?”). Una volta conquistato il governo, però, quando tutti si aspettavano lo scontro frontale con la Commissione e le sue direttive, la premier ha cambiato registro e  contrariamente a quanto fece il suo alleato-competitor  Matteo Salvini  nel Conte 1) si è allineata perinde ac cadaver ai limiti di bilancio imposti da Bruxelles. Ha avuto, è vero, di quando in quando, qualche sussulto identitario, ma solo per non lasciare troppo spazio alla Lega, perché di fronte agli altolà della Commissione ha fatto sempre precipitosamente marcia indietro.

L’immagine che viene fuori da questi comportamenti un po’ schizofrenici  della Meloni è quella di un europeismo riluttante, di chi, cioè, non segue una rotta per scelta autonoma, ma si fa trascinare  controvoglia.

Ma la Meloni non riesce a rassegnarsi a giocare un ruolo marginale sulla scena europea. Lei ha un grande sogno: lei che è presidente dei conservatori europei, vuole costruire in Europa un grande fronte delle forze politiche di  destra, che sostituisca i socialdemocratici quale alleato del Partito Popolare Europeo. A quel punto, altro che europeista riluttante, la premier italiana diverrebbe la king maker dell’UNIONE EUROPEA, sarebbe lei a dettare la linea a Macron e Sholtz.

Ma ci chiediamo innanzituttto: quali possibilità ci sono che l’alleanza  PPE-Conservatori europei si realizzi? Io credo molto poche. Non bisogna dimenticare, infatti, quanto è stato faticoso per i popolari liberarsi di Orban e del suo partito che consideravano l’Unione europea un semplice bancomat da usare per sostenere l’economia ungherese con i fondi di coesione,  salvo poi rifiutare le richieste europee di rispetto dello stato di diritto. Vorranno ora ripetere l’errore, imbarcando un partito che è continuamente recalcitrante nell’attuare le direttive europee (si pensi al rifiuto ostinato di ratificare il MES, al ritardo nell’attuare la concorrenza nella concessione degli stabilimenti balneari, ai ritardi nel realizzare i progetti del PNRR, alla reticenza, da ultimo, nel rinnegare il fascismo) ?

Ma non basta. Ci chiediamo anche se un’Europa a trazione sovranista converrebbe all’Italia, i cui interessi sono in cima ai pensieri  di Meloni. Basta pensare ai due problemi che più tengono impegnato il nostro governo negli ultimi tempi(immigrazione e PNRR) per capire che un’Europa “sovranista” per l’Italia sarebbe una vera iattura.

Il cruccio del nostro governo, in tema di immigrazione, è superare l’accordo di Dublino, che prevede oggi che gli immigrati possono chiedere asilo solo al Paese di primo approdo, per poterli distribuire in tutta Europa. Ma chi si oppone, con più ostinazione, a questa ipotesi? Proprio i più cari alleati della Meloni: polacchi ed ungheresi.

Passando al PNRR, che, al netto dei ritardi accumulati, è comunque considerato l’unica possibilità di crescita per l’Italia, questo è il frutto di una concezione dell’Europa come unione di popoli tra i quali vi è un patto di solidarietà, cosa del tutto estranea alla concezione dei sovranisti che auspicano invece una confederazione di Stati ognuno dei quali rigidamente autonomo e ripiegato a curare esclusivamente gli interessi dei propri cittadini.

Ed allora a che cosa servirebbe una Europa dominata dai sovranisti? Ad importare  da Polonia ed Ungheria omofobia, xenofobia, islamofobia, la limitazione del dirtto all’aborto delle donne, la messa in discussione dello stato di diritto? Il sogno della Meloni sarebbe, insomma, il nostro incubo.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato scuola della Cgil

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