È dai primi di febbraio 2023 che, con gli apporti propagandistici dell’informazione occidentale, i governi NATO e Kiev annunciano una controffensiva ucraina. Ed è anomalo che se ne parli così tanto. È strano soprattutto che ne parlino gli ambienti che dovrebbero scatenarla e sostenerla. In sostanza gli ucraini e i poteri euro-atlantici sembrano «interloquire» soprattutto con i loro nemici, i russi, sulla prossimità di tale contrattacco. Tutto questo appare, evidentemente, come privo di senso. L’offensiva è un evento, tattico ma con funzione strategica, che può riuscire e produrre benefici, tattici o strategici, solo se è pianificato in un regime di massima segretezza. In altri termini, l’effetto sorpresa è il fondamento e la ratio per le strategie di attacco di questo tipo. E la storia delle guerre, di ogni epoca, documenta al riguardo un canovaccio sostanzialmente univoco.
È il caso di portare due esempi.
Primo esempio. L’offensiva del Têt in Vietnam fu un attacco a sorpresa su larga scala lanciato, sotto la guida del generale Giap, dall’esercito nordvietnamita e dai Vietcong durante la notte del capodanno vietnamita, cioè tra il 30 e il 31 gennaio 1968, quando presidente degli Stati Uniti era Lyndon B. Johnson, l’artefice dell’escalation del conflitto. I primi risultati furono favorevoli a nordvietnamiti e Vietcong, proprio per l’effetto sorpresa, ma nei mesi successivi le truppe statunitensi e quelle sudvietnamite riuscirono a recuperare i territori perduti. Contò in realtà la sproporzione delle forze in campo. E i numeri ne danno conto. A conclusione della campagna del Têt i nordvietnamiti e il Fronte di Liberazione Nazionale, i Vietcong, contarono circa 60.000 morti, mentre gli americani ne ebbero poco più di un migliaio e l’intera coalizione poco più di 4.000. Per i Nordvietnamiti e i Vietcong si trattò tuttavia di una grande vittoria morale, che ebbe risalto in tutti i continenti e determinò un forte scollamento tra l’establishment statunitense e l’opinione pubblica di quel paese. Quello scollamento, corroborato da movimenti di estensione globale che – sì proprio da quell’anno, il Sessantotto – portarono alle dimissioni della presidenza Johnson, a grandi contestazioni in tutti i continenti, mentre la guerra americana infuriava ancora, e infine alle trattative di pace, che nel 1975 determinarono il ritiro degli Stati Uniti dal Sud Est asiatico.
Ancora in una situazione di segretezza venne pianificata l’offensiva delle armate italiane di Vittorio Veneto, nella fase finale della prima guerra mondiale. Partita il 25 ottobre 1918, sotto il comando dei generali Armando Diaz, Gaetano Giardino, Luigi Cadorna, scompaginò infatti le fila austro-ungariche, che di fatto non si riebbero più da quell’immenso attacco a sorpresa. Dietro c’era il disastro di Caporetto e la difesa della linea del Piave. Fu quindi uno degli assalti finali che posero fine alla guerra con la sconfitta degli imperi centrali, la Germania del Kaiser e l’impero austro-ungarico.
Evidentemente, l’attuale situazione in Ucraina è tutt’altra cosa e non richiama affatto l’imponenza di quelle grandi operazioni strategiche. E l’investimento propagandistico è troppo forte per non far supporre altro. Ma che cosa? Come interpretare una condotta tanto carnevalesca nello scenario che contrappone l’Ucraina (con il pieno sostegno NATO) e la Russia?
Per tentare di dare una risposta occorre partire da alcune situazioni sul terreno e in particolare da una serie di fatti ormai acquisiti, che non possono più essere elusi dai governi occidentali e da Kiev.
Si possono prendere allora le mosse da un primo dato: la Russia non può essere battuta alle condizioni presenti, quelle di una guerra anomala, per mandato esterno sostanzialmente, perché la sproporzione sul terreno di mezzi militari, nonostante il sostegno ormai aperto dell’Occidente, rimane enorme. Enorme rimane inoltre la sproporzione tra le truppe mobilitate e mobilitabili.
Si arriva allora ad una prima conclusione: per evidenti ragioni egemoniche, di supremazia geopolitica, l’Occidente ha armato fino ad oggi, in Ucraina, un massacro tanto grande quanto poco funzionale e inutile per i propri interessi.
Esiste poi un altro fatto assodato, che ormai deve risultare ben chiaro ai governi occidentali: le sanzioni, pur crescenti e invasive, nei riguardi della Russia, non hanno inferto al sistema di quelle repubbliche i danni (economici e politici) che erano stati previsti. Tali penalizzazioni sono servite invece, con tutto il resto, a compattare le popolazioni russe attorno al loro governo federale di Mosca, sotto le insegne di una guerra patriottica. E la situazione si rovescia ulteriormente perché le sanzioni hanno prodotto danni immensi proprio all’Occidente, travolto da problemi economici di terreno e soprattutto da una inflazione che, per la prima volta dopo trenta e più anni, già raggiunge di fatto la doppia cifra.
Va in scena, evidentemente, a tutto tondo, la grande miopia politica e geopolitica di questo «mondo libero», oltre che la manifestazione più letale del suo cinismo, di fatto illiberale. È un po’ la condizione del giocatore d’azzardo che sa solo rilanciare e non è più capace di ponderare e orientarsi. Va aprendosi allora una nuova fase, in cui s’intensifica tutto: cresce in tutti i paesi la corsa agli armamenti; cresce il sostegno militare a Kiev con l’invio di armi sempre più potenti e letali; s’inaspriscono i combattimenti, nelle logiche della guerra totale contro i russi che erano di Stephan Bandera; diventano sempre più invasive e opprimenti le propagande destinate alle opinioni pubbliche occidentali. Cresce inoltre lo scollamento tra i governi bellicisti e le popolazioni civili. E’ il caso dell’Italia, dove la maggioranza delle cittadinanze non si riconosce nelle politiche armate dei governi: un riflesso molto istruttivo.
Un ulteriore dato di fatto, riguardante l’Occidente, è l’uso spregiudicato di armi ibride. Una di queste è l’incriminazione di Putin per rapimento di migliaia di bambini, che, emessa dalla Corte Penale dell’Aja, secondo i media europei avrebbe dovuto portare il presidente russo dietro le sbarre e che invece è evaporata appena due giorni dopo. C’è poi la telefonata tra Zelensky e Jinping, che avrebbe dovuto rovesciare assetti e alleanze e invece ha prodotto fiumi di parole e nulla di più. Appare istruttiva infine la voce, raccolta dagli ucraini e ancora rilanciata dai solerti media occidentali, di una presunta svolta di Cina e India antirussa e filo-occidentale in sede ONU, presentata come «un sorprendente sviluppo diplomatico», ma priva in realtà di ogni fondamento.
È all’opera insomma una sorta di Circo Barnum, una grande messa in scena dell’Occidente, che ha vari scopi, tra cui non secondario è quello di rendere «invisibile» il disastro di Bakhmut, la cui caduta, quasi completata, fornisce una chiave di lettura oggettiva sulla situazione in atto. Si fa il possibile per tacere i numeri reali dei caduti ucraini, soprattutto giovani coscritti mandati al fronte con la forza, per sostenere le strategie NATO e del gruppo di potere che fa capo a Zelensky. Vengono diffuse infine ad arte notizie secondo cui la Russia ha già perso la guerra ed è ormai fortemente indebolita: cosa che, come si è detto, fa a pugni con la realtà oggettiva, dal momento che le armate russe controllano circa l’80 per cento del Donbass e stanno fortificando in maniera strategica i confini tra le repubbliche inglobate nella Federazione e l’Ucraina.
In realtà, nell’attuale situazione l’unico fattore destabilizzante per la Russia potrebbe essere la formazione di una forte opposizione al governo, organizzata con un’ampia base popolare. Ormai da anni l’Occidente preme perché tutto questo avvenga, con il sostegno a personaggi più o meno ambigui, ma come documentano i sondaggi d’opinione più obiettivi e autorevoli questo non è avvenuto, e in questo periodo di scontro aperto non sta avvenendo. Per dire dei dati più recenti, il consenso al sistema Putin che emerge in maniera pressoché univoca dai sondaggi più significativi e referenziati, ripresi dall’agenzia-rivista «Globalist», continua a crescere. Dal 72% dei primi mesi del 2023 si è passati al 75% del mese di aprile. Si tratta, evidentemente, di un consenso che è molto superiore a quello che riscuote la totalità dei governi occidentali.
Quali conclusioni si possono trarre allora dagli elementi sin qui riportati? La controffensiva tanto ostentata si presenta, alla luce di tutto, come una sorta di bluff, una manovra propagandistica di Kiev e dell’Occidente per depistare, nello stesso tempo, il nemico russo e le opinioni pubbliche europee. Si presenta, in particolare, come una operazione comunicativa nel passaggio ad una nuova fase della guerra: di una guerra cioè che, come si è detto, non è stata né può essere più vinta da Kiev e dai committenti occidentali con i sistemi usuali. Non è cosa possibile sul terreno militare-convenzionale, né sul terreno delle sanzioni punitive, né su quello ibrido-propagandistico. La nuova fase della guerra, come una sorta di estrema ratio, si sta spostando allora lungo un percorso terroristico, nell’alveo del peggiore nazionalismo novecentesco, di cui Stephan Bandera fu uno dei capifila. E i segnali, ormai da mesi, non mancano.
Atti gravissimi di terrorismo sono stati già nei mesi scorsi l’uccisione della giovane filosofa Darya Dugina, nell’agosto 2022, e del giornalista di guerra Vladlen Tatarsky: entrambi uccisi, la prima a Mosca e il secondo a San Pietroburgo, da squadre di sicari operanti in Russia (secondo varie agenzie di osservazione internazionale) su mandato dei Servizi di sicurezza di Kiev, con l’apporto tecnico e logistico di ambienti occidentali. Un atto non meno grave è stato nell’agosto il sabotaggio dei gasdotti Nordstream 1 e 2 nel Baltico, del quale Seymour Hersh, firma autorevole del New York Times, premio Pulitzer e autore di un’ampia inchiesta sull’argomento, ha identificato la matrice negli ambienti dell’Intelligence militare statunitense e in ambiti europei connessi. Il ritrovamento di 17 kg di esplosivo su un drone caduto nei pressi di Mosca a fine aprile 2023, fornisce ancora elementi importanti, studiati tra l’altro dal Washington Post, che ne individua la matrice nei servizi segreti ucraini diretti sempre più opacamente da Kyrilo Budanov.
Nel sito del leader ucraino Zelensky è apparsa intanto, ancora a fine aprile, una petizione per la creazione di un «Ordine» intestato Stepan Bandera che, fautore del terrorismo nazionalistico estremo, si alleò appunto con il nazismo hitleriano per combattere, con gli strumenti che gli erano congeniali, la Russia sovietica. Una operazione nostalgica o una forma mimetica di reclutamento per operazioni oltre le linee? Come è nelle logiche e nella storia della peggiore destra nazionalistica nel secondo Novecento, dall’Europa all’America latina, si sono avuti inoltre, in Russia, i primi attentati alla cieca. Un atto terroristico di questo tipo, a fine aprile, ha preso di mira un treno commerciale, fatto saltare con una carica di esplosivo a Bryansk, nel territorio russo. E ancora una volta ambiti della comunicazione, soprattutto statunitensi, e osservatori internazionali, individuano i mandanti nei servizi segreti ucraini. Alla luce di tutto ciò, nel «nuovo corso» della guerra, attacchi terroristici ad alzo zero sono prevedibili nelle grandi città russe, come Mosca e San Pietroburgo, con bersagli preferenziali nei centri del potere politico-istituzionale, oltre che in Crimea, nel Donbass, dove tuttavia gli attentati di questo tipo sono tutt’altro che una novità dal 2014.
Tirando le fila di ragionamento, comincia a delinearsi allora una controffensiva possibile, riservata, oscurata da quella fittizia di cui si parla in maniera parodistica da mesi. Ed è qui allora il nocciolo della questione. Una guerra diventata ormai difficilissima, e di fatto impossibile da gestire per l’Occidente e per il governo Zelensky, potrebbe ritornare governabile attraverso una serie di operazioni asimmetriche, di atti clamorosi, in grado di terrorizzare le opinioni pubbliche. Tutto questo appare coerente con l’oltranzismo di Kiev, gli apostoli di Bandera che vogliono la guerra totale contro la Russia e fanno di tutto per portare la situazione ad una vera e propria crisi globale. Tutto questo appare coerente infine con le condotte dell’Occidente euro-atlantico, che giorno dopo giorno, con l’uso di armi ibride appunto, cerca di abituare le opinioni pubbliche alle nuove strategie di guerra, che, in questa fase propedeutica, tende a dissimulare facendole passare come atti indecifrabili, mentre non smette di additare i governanti e le popolazioni russe come terroristi per costituzione. La corda in realtà rischia di rompersi. Le opinioni pubbliche e le cittadinanze occidentali fremono, perché stanno pagando prezzi troppo alti, in tutti i sensi, per finalità che non appartengono ai loro orizzonti di vita. Fino a quando saranno disposte a sostenere allora le miopie crepuscolari dei loro governi?
* Carlo Ruta è storico, saggista e direttore scientifico degli Annali di storia dei mutamenti globali
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