ADDIO SOR CARLETTO/ Mondo del calcio in lutto per la morte di Mazzone, aveva 86 anni. Un decano dei tecnici: 792 panchine in Serie A. Resta memorabile la sua polemica corsa verso gli atalantini. All’interno: il ritratto dello storico dello sport

di FABIO CAMILLACCI/ Con Carlo Mazzone se ne va un pezzo di storia del calcio italiano. E questo grande uomo ha scelto di andarsene proprio nel giorno in cui riparte il campionato. Allenatore, personaggio istrionico e iconico, in carriera ha collezionato ben 792 partite da tecnico nella massima Serie. Carletto è morto all’età di 86 anni: era nato a Roma il 19 marzo del 1937. Una data di nascita segnata dal destino: 19 marzo, San Giuseppe, “Festa del Papà”. D’altronde Mazzone è stato come un padre per molti calciatori, su tutti, per motivi diversi: Francesco Totti, Roberto Baggio e Andrea Pirlo.

La lunghissima carriera del “sor Carletto”. Inserito nella Hall of Fame del calcio italiano, guida tecnica di 12 diverse squadre italiane tra il 1969 e il 2006. Tra queste spiccano: la Roma, la Fiorentina, il Napoli e il Cagliari. Ancora oggi, a distanza di oltre 20 anni, di Mazzone si ricorda l’incredibile corsa sotto la curva dei tifosi dell’Atalanta quando il tecnico romano allenava il Brescia. Una corsa cominciata al gol del 3-3 per andare a replicare ai tanti insulti ricevuti nel corso della partita. Mazzone nella sua grandezza è stato anche questo.

Carlo Mazzone: una vita dedicata al calcio. Da giocatore fece tutta la trafila nelle giovanili della sua amata Roma. Esordì tra i professionisti nel 1959 prorio con la maglia giallorossa. Nel 1960 sbocciò un altro grande amore: quello per Ascoli e l’Ascoli, con cui collezionò 219 presenze e 11 reti in poco meno di 10 stagioni. Ascoli diventò anche la culla del Mazzone tecnico con 7 anni passati tra giovanili e prima squadra dal 1969 al 1975. Memorabile il suo rapporto con il vulcanico presidente Costantino Rozzi. Non a caso, a Carlo Mazzone nel 2019 fu intitolata la Tribuna Est dello Stadio Cino e Lillo del Duca della città marchigiana.

Carletto Mazzone ha vissuto mille esistenze, ha attraversato tante esperienze schivando i pericoli e fiutando i tranelli. Soprattutto, Mazzone si è fatto condurre dall’unica stella polare che non lo ha mai tradito: la saggezza popolare. Il sor Carlo era verace.  Come detto, è nella storia quella corsa del 30 settembre 2001 durante Brescia-Atalanta (nella foto in home page e a destra con il suo vice Menichini e l’addetto stampa del Brescia che tentano di fermarlo senza riuscirci). “Se famo tre a tre vengo sotto ‘a curva” gridò ai bergamaschi dopo essere stato insultato per tutta la gara. Roby Baggio disegnò il gol del pareggio e Carletto, come promesso, iniziò la sua corsa sfrenata. Sapeva di averla fatta grossa e infatti subito dopo disse a un increduto arbitro Collina: “Buttame fori, me lo merito!”. Addio Carletto, ci mancherai.

Il ritratto di Carlo Mazzone a cura dello storico dello sport

di RAFFAELE CICCARELLI*/ Spesso si pensa che per passare alla Storia, per lasciare un segno del proprio passaggio, occorra aver compiuto grandi imprese. Proprio la Storia ci insegna, però, che il semplicemente aver vissuto in maniera onesta il proprio mestiere, il proprio mondo, è sufficiente per lasciare una traccia indelebile. È quanto si può ascrivere a Carlo Mazzone, Sor Carletto o Sor Magara, semplicemente un allenatore di calcio il cui credo è stato sempre quello del sano calcio di provincia, abituato ad arrangiarsi e a cavare il meglio da quello che gli era messo a disposizione. Non risulti riduttiva questa definizione, però, perché Mazzone era un conduttore di uomini, profondamente legato alle sue origini, romane e popolane.

Da calciatore ad allenatore. La sua carriera di arcigno difensore iniziò nei Dilettanti con il Latina, dopo aver giocato nelle giovanili della Roma, poi poca Serie A, sempre con i giallorossi e la Spal, fino ad arrivare ad Ascoli, che divenne la sua seconda casa. Con i bianconeri marchigiani, dopo aver chiuso la carriera agonistica, passò alla panchina, formando un duo storico con il presidente Costantino Rozzi (nella foto a destra), altro personaggio che faceva della schiettezza il suo modo di vivere. Con l’Ascoli inizia la sua scalata, prima conquistando la promozione in Serie B (1971/1972), poi l’approdo nella massima serie dove al primo anno conquista anche una storica salvezza. Gli ottimi anni marchigiani gli valsero la chiamata alla Fiorentina, poi via via, passando per Bologna, Pescara, Catanzaro, Cagliari, fino ad arrivare alla panchina della sua amata Roma.

L’avventura nella Capitale. Qui due quinti e un settimo posto, ma il merito di aver lanciato Francesco Totti, dimostrando di raggiungere feeling ideali anche con i grandi campioni, come con Giancarlo Antognoni a Firenze, Oliver Bierhoff ad Ascoli, Aldair alla stessa Roma. È lui alla guida del Perugia che sotto il diluvio sconfigge la Juventus, regalando però lo scudetto alla Lazio; è sempre lui il tecnico del Brescia che, contro l’Atalanta, si rende protagonista di un clamoroso sfogo andando a sfidare la curva bergamasca che lo aveva coperto d’insulti, dopo il pareggio di Baggio. Atteggiamenti che fanno anche sorridere, ma che sono assolutamente in linea con la schiettezza del personaggio.

Il rapporto con i calciatori. Una linearità di comportamenti con i suoi giocatori che gli hanno valso la stima incondizionata degli stessi, a cominciare da Claudio Ranieri, suo “figlioccio”, ad arrivare a Pep Guardiola, che era stato suo giocatore a Brescia, e che invitò Mazzone alla finale di Champions League di Roma del Barcellona contro il Manchester United. Un profondo attestato di stima per quello che con il tempo era diventato il Patriarca degli allenatori italiani, forte di 792 panchine in Serie A, secondo dietro solo a Nereo Rocco, e di 1261 panchine ufficiali in tutta la sua carriera. Il saluto finale proprio a Guardiola: “Mazzone? Il più grande”.

*Storico dello sport affiliato alla SISS Società Italiana di Storia dello Sport

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