di MARIO MEDORI/ La riforma della Giustizia del governo Meloni non piace ai “pentiti di Mafia”. Se ne è parlato a “Crimini e Criminologia” su Cusano Italia TV con un’intervista esclusiva a Luigi Bonaventura: ex boss mafioso, collaboratore di giustizia dal 2006 e noto in passato per essere stato reggente della cosca della ‘Ndrangheta dei Vrenna-Ciampà-Corigliano-Bonaventura, operante nel territorio di Crotone. Intervistato da Fabio Camillacci e Gabriele Raho, l’ex boss mafioso ha detto: “Tutte queste leggi che stanno arrivando con la nuova riforma della Giustizia, stanno distruggendo la normativa antimafia voluta fortemente da Giovanni Falcone. Per i collaboratori di giustizia non si vede luce in fondo al tunnel. Per questo motivo noi come ‘Associazione Sostenitori dei Collaboratori e Testimoni di Giustizia’, abbiamo già presentato un documento in otto punti e ne abbiamo pronto un altro da sottoporre alle istituzioni competenti”.
Quali sono le cose che non vanno bene nella riforma della Giustizia? L’ex boss mafioso oggi collaboratore di giustizia ha risposto alla domanda dicendo: “Troppe cose non vanno bene, le intercettazioni sono state fatte a pezzi e rischiano di distruggere anche il sistema dei collaboratori di giustizia. Rischiamo di arrivare a un punto in cui in Italia non si potrà più parlare di lotta alle Mafie. Serve un sistema, una legge che sia garantista anche per il cittadino perché quando fallisce il collaboratore di giustizia non fallisce solo lui in prima persona ma tutto il sistema. Puntiamo, inoltre, all’inserimento socio lavorativo nella normativa europea antimafia. Ecco perché siamo gemellati con l’associazione antimafia tedesca e francese, lavoriamo anche a livello internazionale per arrivare a una normativa antimafia europea. Ci vuole una lotta collettiva e transnazionale. L’importante è collaborare perché la Mafia non è solo un problema italiano. Purtroppo, i collaboratori di giustizia sono diventati una categoria non protetta come insegnano le vicende di Leonardo Vitale e Tommaso Buscetta”.
I collaboratori di giustizia e i problemi dei loro familiari. Su questo punto Luigi Bonaventura è stato chiaro: “I cosiddetti ‘pentiti’ rischiano la vita in prima persona e mettono a repentaglio anche i loro famigliari con questa scelta di vita. Ecco perché come ‘Associazione Sostenitori dei Collaboratori e Testimoni di giustizia’ assistiamo umanamente 4.000 famigliari di circa 1.000 collaboratori di giustizia. La nostra è una vera e propria rivoluzione per i diritti fondamentali, tipo ad esempio: la possibilità di studiare per i nostri figli e la possibilità di aver accesso al Sistema Sanitario Nazionale per le cure di cui hanno bisogno. Si tratta di diritti basilari esistenti già quando sottoscriviamo il contratto con lo Stato; poi però lo Stato stesso non rispetta i patti. Noi collaboratori di giustizia e i nostri famigliari portiamo il doppio marchio: siamo infami per le Mafie e restiamo semplici mafiosi pentiti per una società civile che civile non è; infatti, la conseguenza è che siamo discriminati. Per esempio io in questo momento non riesco a lavorare, perché con i precedenti che ho e con i pregiudizi che ci sono in Italia diventa difficile per me lavorare”.
Commenta per primo