di RAFFAELE CICCARELLI*/ A volte è veramente bizzarro il modo in cui il dio del pallone distribuisce i suoi semi sulla terra, ottenendo spesso i germogli migliori nei posti più impensati. È quello successo con Sven Goran Eriksson, nato nella lontana e fredda Svezia, non esattamente uno dei centri del calcio europeo. Sunne fu il suo luogo natio, e anche quello dove ha abbandonato la sua avventura terrena, Torsby quella dove sviluppò la sua passione calcistica, da terzino nelle serie minori, fino al precoce ritiro a causa di un infortunio. Il calcio, ormai, era il suo mondo, passare dall’altra parte della barricata, ad allenare, fu quasi naturale, grazie anche all’aiuto di Tord Gripp, suo ex compagno di squadra che fu allenatore anche in Italia, ispirandosi inizialmente ad un calcio di matrice britannica, poi più tecnico.
Esordio subito vincente da allenatore. Gli inizi al Degerfors furono convincenti, tanto da attirare le attenzioni dell’IFK Göteborg, facendo la fortuna di entrambi. Il Göteborg ed Eriksson, infatti, si imposero a livello internazionale, vincendo la Coppa Uefa del 1982 contro il quotato Amburgo, primo successo per una squadra svedese e trampolino di lancio per il tecnico, che dalla fredda patria passò al ventoso Portogallo, al Benfica. Qui furono due stagioni vincenti, il suo nome era tra quelli più gettonati tra i tecnici dell’epoca, e non poteva che essere l’Italia il successivo approdo. In quel periodo il Bel Paese era diventato il centro di gravità calcistico del mondo, grazie anche alla vittoria del mondiale di Spagna del 1982 e alla riapertura delle frontiere, venire da noi, per un allenatore, allora come oggi, significava seguire un corso di laurea calcistica e Roma, sponda giallorossa, fu il primo approdo.
Eriksson in Italia. L’avventura alla corte del presidente Dino Viola non fu particolarmente esaltante, visse l’amarezza dello scudetto della stagione 1985/1986 volato via perdendo in casa contro il Lecce già retrocesso, appena mitigata dalla vittoria in Coppa Italia, ma il destino avrebbe saputo ben ripagare Svennis, che in Italia era diventato Svengo. Dopo un lungo giro che vide Firenze, Genova, ancora Lisbona come approdi, fu di nuovo Roma, stavolta dal lato biancoceleste. Qui le cose andarono diversamente, con i laziali sarebbero arrivate due Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, ma soprattutto lo scudetto della stagione 1999/2000, anche questo non senza polemiche, con la Juventus che vide naufragare nel pantano di Perugia i suoi sogni a favore proprio della squadra di Svengo.
Eriksson commissario tecnico. Chiusa la parentesi laziale per Eriksson fu tempo di misurarsi con una nazionale, e anche qui fu una prima volta, perché il suo approdo alla guida dell’Inghilterra rappresentò una primizia assoluta, mai essendo stata occupata la panchina della nazionale dei Tre Leoni da un tecnico straniero. Poca fortuna per lui, in ogni caso, perché la sua nazionale non andò oltre i quarti dei mondiali 2002 e 2006 e l’Europeo del 2004, il suo momento magico si era esaurito, dopo fu un girovagare tra panchina di club e altre nazionali, fino alla scoperta della malattia e al suo lento addio, affidato anche ai social, per ringraziare quanto i tifosi avevano saputo dargli in vita.
*Storico dello sport
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