di NUCCIO FAVA/ L’Onu promuove la giornata mondiale del rifugiato e ci ricorda che sono 60 milioni. La Tv ce le mostra, queste interminabili carovane di uomini che fuggono dalla guerra, dalla fame, dalle dittature e dalla mancanza di libertà. In mezzo a loro anche donne vecchi e bambini che non rinunciano al diritto alla speranza, di poter raggiungere – dopo lo strazio di sacrifici immensi – un rifugio e costruire qualche futuro migliore. La giornata dell’ONU, che si ripete ogni anno, non ha grande spazio sui media, finisce per essere un rituale generico e ripetitivo di buoni principi sulla dignità di ogni essere umano, ma certo rimane lontana dalla concreta possibilità di effettiva incidenza su un fenomeno così drammatico.
Le organizzazioni umanitarie compiono un lavoro prezioso, anche con la raccolta di fondi che servono a predisporre campi di accoglienza e a provvedere al cibo e alle cure mediche dei migranti. Dovrebbe essere soprattutto la politica dei governi e degli Stati, se possibile in collaborazione tra loro, ad affrontare con qualche efficacia l’enorme problema umano e politico. L’Enciclica “Laudato Si’ ” si colloca con spirito di comprensione e di sollecitazione sul tema, affrontando il cuore del problema collegato ai gravi squilibri tra il Nord ed il Sud del mondo, tra le società dell’opulenza e dello spreco e quelle del sottosviluppo della fame e della penuria di acqua, problema già gravissimo e che diventerà sempre più drammatico per intere popolazioni dell’Africa dell’America Latina e dell’Asia.
Basta osservare del resto le quote di Pil che vengono destinate dai diversi paesi per constatare la distanza tra gli impegni affermati in teoria e la modestia della realizzazione pratica. Colpisce il semplice dato che, sui sacchi o gli scatoloni contenenti aiuti alimentari, sono in evidenza soprattutto l’intestazione del nome dello Stato che invia il dono, quasi scarico di coscienza di fronte alle telecamere, nonostante l’enormità dei bisogni. Purtroppo anche l’Europa che ha contribuito a scrivere le carte fondamentali sulla dignità delle persone, sul loro diritto di accoglienza e di rifugio e di asilo, è in debito flagrante. Nessuno Stato fa eccezione, nessuno brilla per capacità creativa e generosità. Gli esempi sono tristemente innumerevoli dal Mediterraneo alla incredibile vicenda ai confini tra Francia e Italia, presso gli scogli di Ventimiglia, con Gendarmeria e Polizia che impediscono ai migranti di spostarsi.
L’ultimo sconcertante episodio di discriminazione e di disprezzo, viene dal governo ungherese che vuole costruire un muro, alto 4 metri, per sbarrare ogni rischio di infiltrazione per migranti provenienti dall’Eritrea, dalla Somalia, dalla Nigeria e dal Mali, oltre che dall’Iraq e dalla Siria dove si combatte la più feroce delle guerre promossa dal Califfato. Questo atteggiamento dei singoli Stati – si pensi anche alla recente vittoria degli xenofobi in Danimarca e alla ben nota posizione di Cameron – costituiscono purtroppo fattore certo di fallimento in sede UE. Né vale una generica predicazione dei principi di solidarietà e giustizia, in assenza di politiche comuni delle istituzioni europee, a frenare i tanti movimenti di populismo nazionalista e xenofobo che crescono nelle opinioni pubbliche e negli elettorati dei singoli Stai europei. C’è in primo piano il non facile problema della Grecia che non dovrà pero costituire un alibi per una mancata assunzione di responsabilità e di conseguenti scelte doverose nel prossimo Consiglio Europeo.
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