La riforma del catasto? Un altro dei pasticci di Renzi&C. Era iscritta all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi e invece è stata rinviata a data da destinarsi: a bloccarla, a pochi giorni dalla scadenza della delega (il 27 giugno), è stato il risultato a sorpresa delle simulazioni approntate dall’Agenzia delle Entrate. Ne sono venuti fuori numeri fuori norma, con disastrose (per i contribuenti) conseguenze sulle tasse che gravano sulle case perché le rendite lieviterebbero all’inverosimile con un nuovo salasso fiscale sul mattone. Inoltre si creerebbero ulteriori conflitti tra Stato e enti locali, perché verrebbero accentuati gli squilibri attuali anziché riequilibrare i valori degli immobili.
Insomma ancora una volta la fretta ha giocato al boyscout travestito da capo del governo un brutto scherzo, rivelando che la sua sbandierata efficienza è vuota di competenza: è tutta fumo e niente arrosto.
Che cosa prevedeva la riforma, annunciata con enfasi anche dalle due ministre Boschi e Madia? (foto). Che entro il 2019 i valori di tutte le abitazioni degli italiani, circa 35 milioni per 25 milioni di proprietari, saranno ricalcolati in base a un nuovo algoritmo basato sul computo della metratura degli immobili e non sul numero dei vani. Inoltre non più categorie come A2, A3, A4, ma solo O e S, immobili ordinari (case private) e speciali (pubblici e commerciali). Inoltre tenendo conto di altri elementi non secondari, come affaccio, ascensore, piano, esposizione, doppi servizi, zona eccetera.
Le critiche. Erano stati molti i rilievi che avrebbero dovuto mettere in allarme il governo ancor prima che si arrivasse al clamoroso rinvio della riforma. Il presidente dell’Ordine dei geometri, Maurizio Savoncelli, aveva definito i criteri “troppo distanti dalla realtà”. Inoltre – aveva fatto notare – includere nel passaggio dai vani ai metri quadri anche gli elementi accessori (come balconi e ripostigli) si tradurrà “in un contenzioso enorme”, visto che cinque vani di oggi, con tre reali e il resto accessori, “diventeranno 100 metri quadri, quando in realtà sono meno”-
A sua volta il presidente dell’Agefis, Mirco Mion (geometri fiscalisti) aveva avvertito del pericolo insito nel fissare rigidamente l’invarianza di gettito fiscale a livello locale, anziché nazionale, dell’intera operazione: “Rischiamo proprietari di serie A e di serie B, a seconda del comune dove vivono”. E infine – tanto per citare solo qualche altra delle tante obiezioni – c’era il nodo periferie: non sarebbero state solo le case in centro a pagare pegno. Anche nelle periferie dei dieci capoluoghi presi in esame, i valori catastali di abitazioni civili, economiche e popolari (A2, A3 e A4) salivano e non di poco: da un minimo di un quarto in più per un A2 di Bari, a un massimo di oltre quattro volte tanto per un A4 a Firenze (da 60 mila a 260 mila euro). A livello nazionale, tutte e tre le categorie avrebbero toccato aumenti dal doppio fino al 312% in più.
Le simulazioni. Per fortuna sono arrivati – dopo i primi calcoli elaborati dalla Uil-Servizio politiche territoriali – secondo cui in base proprio al possibile algoritmo messo a punto dall’Agenzia delle entrate i valori degli immobili ottenuti applicando la nuova formula sarebbero decollati ovunque, sia in centro che in periferia, nonostante lo sconto del 30%, inserito nel decreto per attutire i rialzi. A patire sarebbero state le abitazioni oggi classificate come economiche e popolari (A3 e A4), soprattutto se ubicate nei centri storici. A Napoli il valore di una casa popolare in centro sarebbe salita di sei volte. A Roma di quattro. A Venezia di cinque.
E così una esigenza sacrosanta, come quella di aggiornare i valori catastali per un computo del pregio reale di una casa che superi un catasto ormai vecchio di settant’anni, stava per trasformarsi in un gigantesco pasticcio, in nome della fretta di “cambiare l’Italia”. In peggio!
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