Il giudice civile di Milano, Loretta Dorigo, ha respinto – dopo 11 giorni di riflessioni – i due ricorsi presentati dall’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida (foto) e da un pool di legali sull’eccezione di legittimità costituzionale della legge del ’70 istitutiva del referendum laddove non prevede l’obbligo di ‘spacchettamento’ del quesito quando ci sono più temi, come nel caso di quello sulla riforma costituzionale oggetto della consultazione popolare del 4 dicembre prossimo. Secondo il giudice il quesito il quesito “non lede il diritto di voto”. Ma Onida e il pool di non gettano la spugna e sarebbero pronti a un ricorso in appello.
La decisione del giudice Dorigo, che fa parte della prima sezione civile del tribunale milanese, è stata resa nota dal presidente del tribunale Roberto Bichi. In una nota Bichi ha comunicato che “oggi 10 novembre 2016 la giudice dottoressa Loretta Dorigo ha depositato le ordinanze con cui sono stati decisi i ricorsi concernenti la richiesta di provvedimenti cautelari riguardanti lo svolgimento del referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre 2016”. Con le “predette ordinanze la giudice Dorigo ha rigettato la richiesta cautelare“. I due ricorsi, quello di Onida e quello di un pool di avvocati, erano stati discussi nelle scorse settimane davanti al giudice che si era riservato e la cui decisione è arrivata oggi.
Il ricorso di Onida- La motivazione centrale dell’azione riguardava il fatto che in un unico quesito vengono sottoposti all’elettore una pluralità di oggetti eterogenei. Nei ricorsi si chiedeva il rinvio della questione alla Corte Costituzionale. La legge sottoposta a referendum – secondo il ricorso – “ha oggetto e contenuti assai eterogenei, tra di loro non connessi o comunque collegati solo in via generica o indiretta, e che riflettono scelte altrettanto distinte, neppure tra loro sempre coerenti”. Ma “la sottoposizione al corpo elettorale dell’intero variegato complesso di modifiche mediante un unico quesito”, “viola in modo grave ed evidente la libertà del voto del singolo elettore“, “arrecando radicale pregiudizio allo stesso principio democratico proprio in occasione dell’esercizio diretto della sovranità popolare al suo livello più alto: cioè nella ridefinizione delle regole del patto costituzionale”.
La magistrata giudicante non è stata dello stesso parere dell’ex presidente della Consulta.
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