di DOMENICO MACERI* – Durante molti dei suoi comizi prima del voto Donald Trump ci ripeteva che se perdeva l’elezione era perché tutto era truccato. I sondaggi infatti lo davano indietro di parecchi punti e il magnate sembrava dare l’impressione che stava preparando la scusa per la sua eventuale sconfitta. Aveva anche minacciato che in caso di mancata vittoria forse non avrebbe accettato il risultato.
Ora Trump è il presidente eletto, ma, in un certo senso, l’elezione è “truccata” se si considera che Hillary Clinton ha ricevuto 600 mila voti più del suo avversario. Questa cifra aumenterà perché rimangono da contare quasi sette milioni di voti principalmente in California, Washington e New York, senza però che ciò possa cambiare il risultato dei voti elettorali. Trump ha vinto. Il “trucco”? Sta nel sistema elettorale americano, l’Electoral College, che gli assegna 290 voti (quelli, cioè, dei cosiddetti “grandi elettori), cioè 20 in più dei 270 richiesti per vincere, contro i 228 ottenuti dalla Clinton.
“Il trucco” sta, ironia della sorte, nel sistema di cui ha beneficiato Trump, il sistema costituzionale, cioè dell’establishment, tanto odiato dal neoeletto presidente. Trump ha anche beneficiato della storia e della ideologia del suo partito, che lui ha portato agli estremi per conquistare elettori impauriti dalla continua riduzione dei bianchi in America. A cominciare dal razzismo e dal misoginismo che il neoeletto presidente ha usato come cavallo di battaglia. Anche parecchi candidati alle primarie come Ben Carson e Ted Cruz avevano fatto dichiarazioni estremiste, ma meno del “campione” Trump.
L’ideologia repubblicana, basata in parte sul razzismo verso gli afro-americani ed altri gruppi minoritari, ha condotto all’ostruzionismo verso l’attuale presidente Barack Obama per fare sì che lui fallisse creando una realtà alternativa basata su slogan negativi semplicistici e superficiali. Tutto sta andando a rotoli, ci ha raccontato Trump, ripetutamente ignorando che gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi economica causata da George W. Bush ed ereditata da Obama. L’economia è in crescita, la disoccupazione al di sotto del cinque per cento e i salari hanno cominciato a salire, anche se la diseguaglianza fra ricchi e poveri continua ad imperare.
La maggioranza degli americani ha creduto a questa realtà votando per Hillary. Ciononostante Trump ha vinto grazie all’Electoral College, che non riflette l’esatta geografia politica dell’elettorato. In altri Paesi nei quali sono in vigore sitemi democratici chi riceve più voti vince, ma quello in vigore in America per certi aspetti è “meno democratico”. Hillary Clinton si aggiunge dunque ad altri quattro candidati presidenziali che hanno ricevuto più voti del suo avversario uscendone però sconfitti, come era successo nel 2000 ad Al Gore e ad altri tre nel diciannovesimo secolo. Facile immaginare la reazione di Trump se lui avesse ricevuto più voti e l’Electoral College gli avesse “rubato” la vittoria.
I sostenitori di Clinton sono ovviamente delusi, come ci dimostrano le manifestazioni di protesta in parecchie metropoli americane. Si tratta, in generale, di manifestazioni pacifiche, che Trump ha già etichettato con un tweet come ispirate dai media, tanto bistrattati da lui durante la campagna elettorale.
Trump potrebbe invece continuare con le espressioni concilianti espresse la notte dell’elezione, quando ha fatto i complimenti alla Clinton per il suo servizio al Paese per cercare di calmare le acque ed assicurare che lui sarà il presidente di tutti, come aveva detto. Potrebbe anche parlare al Paese e ridurre il clima anti-immigranti che sta montando con aggressioni a membri di gruppi minoritari da parte di alcuni dei suoi sostenitori imbaldanziti dalla sua vittoria, credendo di avere ottenuto la licenza per attacchi ai membri della parte perdente. In alcuni altri casi, sostenitori di Trump sono stati anche loro aggrediti, in un clima teso creato dalla stessa retorica del magnate di New York.
Nella campagna elettorale Trump ha fatto promesse che dovrà cercare di mantenere almeno in parte. Ci aveva detto che eliminerebbe Obamacare, costruirebbe il muro al confine con il Messico, rinegozierebbe i trattati di libero scambio, ricostruirebbe le forze armate, e riparerebbe le infrastrutture. Un’agenda ambiziosa, anche se non facilmente attuabile, per il fatto che dovrà prima ricucire i rapporti con il suo partito, che includeva leader poco entusiasti. Adesso forse cambieranno musica con l’inaspettata vittoria di Trump e della continua maggioranza nelle due camere.
Eliminare Obamacare potrebbe essere facile per i repubblicani perché lo avevano già fatto nel 2015, non riuscendo però a sfondare il veto imposto da Obama. Nella campagna elettorale Trump ha dichiarato che avrebbe firmato il disegno di legge. Rimarrebbe però il nodo della perdita dell’assicurazione medica per più di 20 milioni di americani e forse è per questo che Trump ha espresso dubbi al riguardo.
Prima di divenire candidato alla presidenza Trump aveva espresso idee moderate e persino vicine all’ideologia del Partito Democratico. Nella campagna elettorale si è spostato agli estremi del Partito Repubblicano. Adesso che ha vinto vedremo quale dei due Trump governerà il Paese.
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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