È morto a Roma il giornalista e scrittore Ermanno Rea. Nato a Napoli nel 1927, città alla quale è rimasto sempre molto legato, Rea ha vinto il premio Viareggio nel ’96 con il romanzo autobiografico Mistero napoletano e il Campiello nel ’99 con Fuochi fiammanti a un’hora di notte. Finalista al premio Strega nel 2008 con Napoli Ferrovia. Tra le sue opere, L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffè, scomparso e mai più ritrovato (Einaudi ’92) in cui ripercorreva la storia dell’economista scomparso nel 1987, La dismissione (2002), romanzo che parla della chiusura dell’acciaieria Ilva, Il sorriso di Don Giovanni (2014). Il caso Piegari, attualità di una vecchia sconfitta (2014). In autunno è prevista l’uscita di un ultimo romanzo, Nostalgia, ambientato a Napoli. Nel 2014 si era candidato alle elezioni europee con la lista Tsipras, senza però riuscire ad essere eletto.
RICORDO. Il fotografo scettico e appassionato
Avevo appena iniziato il mestiere di cronista quando conobbi Ermanno. Era il 1959. Reduce da una originale esperienza come corrispondente regionale dell’Unità in Abruzzo, fui assunto stabilmente e mandato alla redazione napoletana del giornale ad occuparmi di cronaca nera e giudiziaria. Lì, nella sede all’Angiporto Galleria, Ermanno Rea, tra un servizio fotografico e l’altro (che vendeva solo a chi apprezzava il pregio delle immagini), stazionava per ore, quasi stravaccato su una sedia di fronte alla scrivania di Francesca Spada (la straordinaria giornalista, che poi si tolse la vita, alla quale Ermanno dedicò uno sei suoi primi libri). Commentava filosoficamente, con passione e al tempo stesso con una vena di sano scetticismo, tutto ciò che accadeva a Napoli e nel mondo.
Era un conversatore che calamitava l’attenzione dei colleghi. Sembrava l’immagine della “pigrizia creativa” dell’intellettuale napoletano, come Luigi Compagnone, come Luigi Incoronato; ma nessuno immaginava che potesse diventare, come diventò, un prolifico scrittore di successo. Ci perdemmo di vista dopo che mi trasferii a Roma e poi via via in altre città, dalle Alpi all’Aspromonte, ripassando ancora per Roma in altre fasi della mia attività professionale. Ma non ci siano più incontrati, benché anche lui si fosse trasferito ormai nella capitale. Me ne ha tenuto lontano la pigrizia, o meglio la riottosità per gli eventi pubblici, anche quelli che sono occasione di importanti appuntamenti editoriali. Ora mi pento di non averne mai approfittato per ritrovare un vecchio amico. Che mi sono limitato a seguire leggendo i suoi libri, che raccontano la Napoli che ho conosciuto o che ho solo immaginato sull’onda dei ricordi. Peccato.
Ennio Simeone
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