di RAFFAELE CICCARELLI*/ Il ruolo del portiere nel gioco del calcio ha sempre qualcosa di magico, quasi di irrazionale rispetto al gioco stesso. È l’unico ruolo in cui è permesso l’uso delle mani, fuori dalla logica del calcio che prevede per tutti l’uso dei piedi. Caratteristica, tra l’altro, prima esclusiva ma poi, con lo sviluppo del gioco moderno, richiesta anche agli attuali interpreti del ruolo. Un ruolo che nel corso degli anni ha subito numerose modifiche, forse per questo irrazionale, sia per quanto scritto sopra, sia per le qualità caratteriali degli interpreti, considerando che, in genere, sono considerati “matti”, complice anche l’estrosità di alcuni di loro.
L’anno spartiacque. Il 1968 segna un solco fondamentale nel modo di essere dei portieri, così come nel pallone in generale, il calcio diventa “totale” e anche gli estremi difensori si adeguano. Sulla scia di quello che furono Jan Jongbloed e Piet Schrijvers nel calcio olandese va ad inserirsi la figura di Claudio Garella, scomparso in queste ore. Torinese di nascita, dà subito un’impronta personale al ruolo, fuori dai canoni, sicuramente diverso nell’impostazione da Dino Zoff, ma anche da Luciano Castellini e Ricky Albertosi, estrosi nei comportamenti e nel modo di parare. Per Garella il necessario è parare, evitare al pallone di varcare la fatidica linea, il come non conta, e nemmeno lo stile.
La carriera di Garella morto all’età di 67 anni e il miracolo a Verona. Passato alla Lazio, questo modo di intendere il ruolo non è compreso, qualche gol balordo subìto consente al mitico Beppe Viola di coniare il termine “garellate” per definire quegli errori. Garella continua la sua carriera, che sembra avviata verso quella di un onesto calciatore dal ruolo di portiere, ma la storia cambia con il suo passaggio a Verona. Qui, al quarto anno di permanenza, stagione 1983/1984, si compie il primo miracolo, diventando campione d’Italia nella squadra assemblata e guidata da Osvaldo Bagnoli. Il suo modo sghembo di parare, oltre che personale, ha contribuito a far capire la sua efficacia, è quindi chiamato nel Napoli che si appresta a diventare grande con Diego Armando Maradona, e si compie il secondo miracolo.
Lo scudetto bis a Napoli per “Garellik”. Diego crea, Garella conserva, nel 1987 gli azzurri sono Campioni d’Italia per la prima volta nella loro storia. Fu il canto del cigno di Garella che, dopo tante soddisfazioni, chiuse la sua carriera passando per Udine e Avellino. Claudio Garella è stato un epigono in tutto, rappresentando un nuovo modo di parare, in verità unico, perché dopo di lui un portiere di tale efficacia con quello stile non si è più visto, ma ha anche l’invidiabile record di essere riuscito a vincere due campionati fuori dal grande giro delle squadre metropolitane, conquistare due scudetti a Verona e Napoli rappresenta un unicum nel nostro calcio. Qualità certificata con la solita vivacità e puntigliosità dialettica da Gianni Agnelli, che così lo definisce, con parole con cui noi lo salutiamo: “Garella è il più forte portiere del mondo. Senza mani, però…”.
*Storico dello sport
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