Se ne è andato proprio nel giorno della ripartenza della Serie A: il mondo del calcio è in lutto per la morte di Mario Corso, fenomenale mancino della “Grande Inter” di Herrera, un campione degli anni Sessanta. Nato a Verona il 25 agosto del 1941, Corso legò il suo nome calcistico alla squadra nerazzurra con la quale scese in campo ben 509 volte tra il 1957 e il 1973. Nel 1978 divenne allenatore e arrivò anche sulla panchina interista nella stagione 1985-1986. Da calciatore vinse quattro scudetti, due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali. Di seguito il ritratto di Mariolino Corso con lo storico dello sport
di RAFFAELE CICCARELLI*/ Ci sono giocatori, nel calcio, che si impongono all’immaginario collettivo per il loro talento, o per la loro forza caratteriale, diventando campioni trasversali, riconosciuti da tutti. Si possono citare Diego Armando Maradona, Roberto Baggio, Johan Cruijff, per limitarsi ai primi che mi sovvengono, nomi riconosciuti da tutti e che non hanno bisogno di presentazioni. Nel pantheon che contiene questi campioni figura certo anche Mario Corso, che ci ha lasciato in queste ore. Un giocatore “normale” in possesso di un talento ricchissimo, concentrato soprattutto nel suo piede sinistro, e per il suo carattere anche “universale”, cioè riconosciuto da tutti e non destinato a dividere come i precedenti.
Addio “foglia morta”. Di solito poi, i grandi campioni sono ricordati anche per i “nomi di battaglia”, tipo Pibe de Oro per Maradona, o Divin Codino per Baggio. Ecco, per Corso non esiste una tale caratteristica, almeno, era soprannominato “Mandrake”, ma per la cerchia dei tifosi interisti, non per il grande pubblico. Un’altra caratteristica speciale di questi talenti è l’eccezionalità di alcuni colpi: tutti ricordano le prodezze balistiche o i dribbling dei citati, per Mariolino, il vero soprannome con cui era riconosciuto, tra l’altro caratteristica di normalità in un mondo sempre alla ricerca del roboante, era la punizione, la classica “foglia morta”. Egli aveva mutuato e fatto proprio quel colpo tecnico dal brasiliano Didì: le punizioni al limite dell’area che conquistava l’Inter, soprattutto nel settore destro dell’area, erano in pratica delle sentenze, quando calciava lui. Tiro di sinistro non forte, ma di una precisione estrema, una traiettoria beffarda che calava nell’angolino alle spalle del portiere seguendo, quasi, la danza di una foglia che cade a terra una volta staccatasi dall’albero.
La carriera calcistica di Mariolino. Corso costruì tutta la sua carriera in nerazzurro, dopo aver mosso i primi passi nell’Audace, la squadra del suo paese, S. Michele Extra, alla periferia di Verona. Il suo arrivo alla corte interista coincise con il periodo aureo del club milanese, quello guidato da Helenio Herrera e presieduto da Angelo Moratti, contribuendo alla conquista di quattro titoli italiani. Inviso a Acca Accone, come lo soprannominò Gianni Brera, Corso (“participio passato del verbo correre”, citazione ancora di Brera), sempre ne chiedeva la cessione, e sempre Moratti tergiversava fino a tenerlo, consapevole delle qualità del veronese. La leggenda Corso la costruì contribuendo alle vittorie delle due Coppe dei Campioni e delle due Intercontinentali, sempre con la sua visione di gioco e il suo sinistro fatato, spesso rifuggendo la pugna, ma mai tirando indietro la gamba.
Il profilo tecnico di Corso. Giocatore atipico, difficilmente collocabile negli scacchieri tattici abbastanza rigidi dell’epoca, per caratteristiche tecniche si potrebbe considerare un tre quartista, partendo da sinistra tendeva ad accentrarsi dietro gli attaccanti, ebbe scarsa fortuna in Nazionale, dove pure collezionò ventitré presenze, senza mai partecipare a fasi finali di grandi tornei. Terminato il ciclo all’Inter, e chiusa la carriera al Genoa, intraprese un onesto percorso da allenatore, pur senza raggiungere, in pratica, la grande ribalta, dimostrandosi buon maestro per i giovani, con cui vinse uno scudetto Primavera con il Napoli. Come nel suo stile tranquillo, si è compiuta ora la sua avventura terrena, senza fanfare, come nello stile del personaggio, disegnando l’ultima foglia morta.
*Storico dello Sport
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