di GIOVANNI PEREZ – I quotidiani italiani hanno dato ampio spazio all’arresto di un paio di scafisti che avevano traghettato dalla Libia alla Sicilia alcuni gruppi di migranti commettendo vari reati, compreso l’assassinio di un ragazzo che si era rifiutato di dare a uno di loro il proprio cappellino. A questo punto credo che chiunque abbia un po’ di buonsenso si sia posto alcuni interrogativi. Per esempio: chi è il vero responsabile in Libia del traffico umano (e che nessuno tocca)?
Nei giorni scorsi anche il nostro ministro degli Esteri, l’onorevole Alfano, che pure è nativo di quell’isola dove approda il grosso dei natanti che trasportano i disperati dalle coste libiche, si è recato a Tripoli incontrando gli uomini che contano. Al di là delle solite frasi fatte sugli ottimi rapporti intrattenuti dall’Italia con la Libia, si è sentito un accenno molto sfumato alla collaborazione sul fronte dei profughi. Ma sul particolare della necessità di perseguire i mercanti di schiavi che operano a Tripoli e dintorni, non si è detto nulla, almeno per ciò che si sa. Costoro sono forse sotto la protezione del governo libico e quindi intoccabili, o, peggio, fanno forse affari con qualche pezzo grosso di quel potentato e quindi è opportuno non parlarne? Grazie – avranno detto i rappresentanti di quel governo – per le motovedette che ci fornite e grazie per gli istruttori italiani che ci mandate, ma per favore non parliamo di argomenti delicati come quello dei trafficanti di schiavi che vivono a Tripoli, non è assolutamente il caso.
A questo punto una domanda sorge spontanea: che cosa ci è andato a fare a Tripoli il nostro Alfano? Se voleva farsi una gita poteva scegliersi una meta più allettante, come le Maldive, dove il mare è sicuramente più bello, anche se doveva correre il rischio di doversi pagarsi il viaggio.
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