Anche un testimone accusa i 4 uomini dei servizi segreti egiziani incriminati dai magistrati italiani di aver torturato Giulio Regeni

I 4 pubblici ministeri che hanno indagato in Egitto sulla morte di Giulio Regeni hanno emesso avvisi di chiusura indagini, che precedono la richiesta di processo per 4 appartenenti ai servizi segreti egiziani. Le accuse variano dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Nell’atto di chiusura delle indagini i pm parlano di sevizie durate giorni che causarono a Giulio Regeni acute sofferenze fisiche messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni.

In una conferenza stampa alla Camera Paola Regeni, madre di Giulio, nel giorno in cui la Procura di Roma ha chiuso l’inchiesta sulla terribile morte del ricercatore italiano, ha detto: “Nessuno avrebbe pensato di arrivare dove siamo oggi. Oggi è una tappa importante per la democrazia italiana e per l’Egitto. Niente ci ferma. La nostra lotta di famiglia è diventata una lotta di civiltà per i diritti umani, che è come se agisse Giulio. Giulio è diventato uno specchio che riverbera in tutto il mondo come vengono violati i diritti umani in Egitto ogni giorno”.  

Ora si è appreso anche della testimonianza di un teste, che ha raccontato: “Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace”. E’ il racconto fornito da uno dei cinque testimoni sentiti dai magistrati di Roma nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. 

La sua testimonianza è stata citata oggi dal pm Sergio Colaiocco nel corso dell’audizione davanti alla commissione d’inchiesta sulla morte del giovane ricercatore italiano. Ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security, dove Giulio è stato ucciso – ha raccontato il testimone -. E’ una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c’è la stanza 13 dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale. Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Sulla schiena aveva dei segni e, anche se sono passati anni, ricordo quella scena. L’ho riconosciuto alcuni giorni dopo da foto sui giornali e ho capito che era lui”.

La mamma di Regeni perciò insiste: “Chiediamo alla Commissione d’inchiesta di fare chiarezza sulle responsabilità italiane, ci riferiamo a tutte quelle zone grigie… Che cosa è successo nei Palazzi italiani da quel 25 gennaio al 3 febbraio? Come mai Giulio, un cittadino italiano, non è stato salvato in un Paese che era amico e che continua ad essere amico? “Altrimenti tutti gli italiani che vanno all’estero possono ben dire di non sentirsi sicuri”. “La stampa ‘buona’ lavori sull’Egitto, racconti l’Egitto, così aiutiamo anche il popolo egiziano. Fate giornalismo investigativo, chiedete ai politici ‘cosa state facendo?’, “presidente Conte che sta facendo per la verità su Giulio? E il ministro degli Esteri Di Maio?

 I rapporti bilaterali con l’Egitto sono divenuti sempre più un’amicizia”.

Duro anche il padre di Giulio, Claudio Regeni: “Da quando nel 2017 è stato rinviato l’ambasciatore italiano in Egitto durante il governo Gentiloni uno degli scopi era la ricerca di verità e giustizia per nostro figlio. Purtroppo questo punto è stato messo in secondo piano dando priorità alla normalizzazione dei rapporti tra Italia ed Egitto e allo sviluppo dei reciproci interessi in campo economico, finanziario e militare, vedi la recente vendita delle fregate, e nel turismo, evitando di affrontare qualsiasi scontro. L’atteggiamento dell’ambasciatore Cantini è una chiara dimostrazione di tutto ciò”. E ha chiesto di “richiamare in Italia l’ambasciatore”. “I diritti umani non sono negoziabili con petrolio, armi e soldi. E questo ce lo dimostra la famiglia Regeni. Vorremmo la stessa fermezza e abnegazione da parte di chi ci governa, affinché dimostrino che la giustizia non è barattabile. Questo è un punto di partenza, ci sono voluti cinque anni”. Lo ha detto in conferenza stampa alla Camera l’avvocato Alessandra Ballarin, legale della famiglia Regeni.

Chiesta l’archiviazione per una quinta persona, sempre uno 007 del Cairo. A rischiare il processo sono il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Quest’ultimo indagato, oltre che per sequestro di persona pluriaggravato contestato a tutti, è accusato di lesioni personali aggravate (essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio del 2017) e l’omicidio del ricercatore friulano. Chiesta l’archiviazione invece per Mahmoud Najem. “Per quest’ultimo – spiega una nota della Procura di Roma – non sono stati raccolti elementi sufficienti, allo stato, a sostenere l’accusa in giudizio”.

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