La sorella del boss Matteo Messina Denaro, Rosalia, è stata arrestata dai carabinieri del Ros con l’accusa di associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti, coordinati dalla Procura di Palermo, la donna avrebbe aiutato per anni il fratello a sottrarsi alla cattura e avrebbe gestito per suo conto la “cassa” della “famiglia” e la rete di trasmissione dei ‘pizzini’, consentendo così al capomafia di mantenere i rapporti con i suoi uomini durante la sua lunga latitanza.
E’ stato un appunto dettagliato sulle condizioni di salute di Matteo Messina Denaro, scritto dalla sorella Rosalia e da lei nascosto nell’intercapedine di una sedia, a dare agli investigatori – secondo i carabinieri del Ros – l’input che ha portato, il 16 gennaio scorso, all’arresto del capomafia. Lo scritto è stato scoperto dai carabinieri del Ros il 6 dicembre scorso mentre piazzavano delle cimici nella abitazione della donna.
Rosalia, che è la maggiore delle quattro sorelle di Messina Denaro, è madre di Lorenza Guttadauro, avvocato, che assiste il capomafia dal giorno del suo arresto ed è moglie di Filippo Guttadauro, che ha scontato 14 anni per associazione mafiosa ed è tuttora in carcere al cosiddetto ‘ergastolo bianco’. Il secondo figlio della donna, Francesco, nipote prediletto del padrino trapanese, sta espiando una condanna a 16 anni sempre per associazione mafiosa.
L’operazione che ha portato all’arresto di Rosalia Messina Denaro è stata condotta dal Ros, dai carabinieri del Comando provinciale di Trapani e dello squadrone eliportato dei Cacciatori di Sicilia. La misura cautelare è stata disposta dal gip Alfredo Montalto. Sono in corso decine di perquisizioni in provincia di Trapani.
In uno degli appunti il boss ricorda al destinatario l’esistenza di una grossa provvista (64.100 euro) e le spese già affrontate (12.400 euro). E impartisce a chi avrebbe ricevuto il messaggio l’ordine su quanto spendere per il periodo successivo (“per il prossimo periodo devi spendere di nuovo 12.400”).
“Tale espressione – scrive il gip che ha arrestato Rosalia Messia Denaro – rivela con certezza l’esistenza di un fondo riservato: il tenore della espressione lascia intendere che si tratta di somme da utilizzare non per il personale soddisfacimento di chi le aveva in custodia, ossia il destinatario del pizzino, ma assai verosimilmente doveva essere costui a sua volta a distribuire il denaro a terzi”.
Natura della provvista, per i pm, è la “cassa”, “espressione oramai divenuta notoria, con la quale le famiglie di Cosa nostra – continua il giudice – indicano la giacenza alimentata dai proventi illeciti di denaro in contanti, pronta a essere utilizzata, con cui l’articolazione o il mandamento mafioso fa fronte alle spese per i detenuti, per le loro famiglie, per gli onorari dei legali e più in generale per i bisogni degli associati”.
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