di VITTORIO EMILIANI – Al Consiglio Superiore della Magistratura il vice (fidato di Renzi) Giovanni Legnini vuol zittire da Palazzo dei Marescialli tutti i magistrati e parlare soltanto lui, portavoce unico. Al Collegio Romano, sede del ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, non spira un’aria granché migliore. Intanto vige un “codice etico” in base al quale “il dipendente (di qualunque grado sia, ndr) – fatto salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini – si astiene da dichiarazioni pubbliche, orali e scritte che siano lesive dell’immagine e del prestigio dell’Amministrazione”. Lesive a giudizio delli Superiori. Ciò vuol dire bavaglio, di fatto totale – proprio in questi mesi di sconvolgimento delle strutture del MiBACT – mentre le Soprintendenze vengono assurdamente accorpate annegando ogni specificità e predestinate (legge Madia) a finire gerarchicamente sotto prefetti e prefetture. Il funzionario che parla o scrive senza permesso delle gerarchie ministeriali rischia di brutto. Tanto più che è momento di nomine non per concorso bensì per decisione tutta “politica”.
Non si vuole infatti che si sappia dalla viva voce dei funzionari quanti di loro rinunciano a dirigere musei raggruppati soltanto sulla carta e quindi insensatamente distanti chilometri e chilometri l’uno dall’altro o sapere della paralisi che ha investito anche grandi musei i cui consigli di amministrazione, spaventati dalla mancanza di risorse e dalla responsabilità davanti alla Corte dei conti, non decidono nulla. O ancora del caos imperante ovunque in forza di decisioni prese dall’alto senza alcuna consultazione dei tecnici.
A Roma poi, dal 1° febbraio scorso, vige una circolare firmata dall’allora Soprintendente archeologico, architetto Francesco Prosperetti, in base alla quale “le modalità di comunicazione agli organi di informazione (giornali, radio, tv) relative ad attività istituzionali dovranno essere preventivamente sottoposte al Dirigente per il tramite dell’addetto stampa e/o delle strutture istituzionali”. In caso urgente rivolgersi “direttamente al Dirigente” (tutto maiuscolo). Attenzione perché “ogni iniziativa autonomamente presa dalle SS.LL in maniera difforme è ritenuta non consona al disposto dell’art. 3 comma 8 del Codice di Comportamento” (quello sopracitato). Se le Signorie Loro ci rifanno come “apparso in più occasioni sulla stampa”, l’azione disciplinare è inevitabile. automatica. Subito ha protestato la Fp Cgil, il suo segretario nazionale Salvatore Chiaramonte richiamandosi all’articolo 21 della Costituzione sulla “libertà di espressione” e definendola “una disposizione vergognosa e pericolosa che squalifica chi l’ha emanata e chi l’ha ispirata e che la dice lunga sulla coscienza democratica di chi ci governa”. Ma il clima non è molto cambiato. Anche perché tranne poche voci di stampa, anzitutto “Il Fatto Quotidiano”, e ancor meno emittenti tv (essenzialmente La7, la Rai in proposito è quasi muta pur essendo “servizio pubblico” finanziato al 66 % da noi abbonati), il silenzio stampa è sceso sulla denuncia dei cento e cento attentati alla tutela dei beni culturali e paesaggistici in nome della “valorizzazione” di alcuni di loro, cioè del “far soldi” e poco più.
Domenica 8 maggio c’è stato un festoso “Appia Day”. Forse per sottolineare, sia pure tardivamente, quanto ha fatto con pochi soldi e molti sudori la Soprintendenza Archeologica alla Villa dei Quintili, a Santa Maria Nova o a Capo di Bove sotto la direzione di Rita Paris? No, al contrario per chiedere genericamente una ludica “pedonalizzazione dell’Appia”. Che peraltro è al 95% privata. Non era meglio riversare lì i 18 milioni di euro (presunti, saranno di più) che Franceschini si ostina invece a voler spendere per riportare gli spettacoli circensi all’Arena Colosseo? Mi par di sentire il Grande Fratello che dal Collegio Romano impone: “Ditelo ancora e vi sospendo subito dal servizio”. Sino a quando?
(da Articolo 21)
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