BOTTA e RISPOSTA SUL REFERENDUM/ Le ragioni del No e le ragioni del SI a confronto in due lettere di Alfiero Grandi e Marco Travaglio

Come votare, il 20 settembre, al Referendum confermativo sul taglio del numero dei parlamentari? C’è il rischio, per molti italiani, di non avere chiare le ragioni per esprimersi con il SI a favore della riforma (proposta dal M5s ma votata a larga maggioranza sia dal Senato sia dalla Camera) che riduce da 630 a 400 il numero dei deputati e da 315 a 200 il numero dei senatori, oppure con il NO alla conferma di quella riforma.

Una motivazione molto chiara a sostegno delle due tesi contrapposte è stata pubblicata sul “Fatto quotidiano” attraverso la pubblicazione di due lettere, entrambe serenamente argomentate: quella dell’ex sindacalista e segretario dell’Associazione per il rinnovamento della Sinistra ALFIERO GRANDI indirizzata al direttore del giornale e quella scritta, in risposta, dal direttore MARCO TRAVAGLIO.

I nostri lettori potranno così farsi una idea su come orientarsi, sottraendosi alle insidie delle aspre contrapposizioni propagandistiche da cui saranno investiti fino alla vigilia del 20 settembre.

LA LETTERA DI ALFIERO GRANDI: “Perché votare NO”

Caro direttore, le ragioni del referendum costituzionale sono quasi ignote. Sull’onda del populismo montante si è individuato nel taglio dei parlamentari l’obiettivo n.1. Sì, i parlamentari hanno fatto poco per provare il loro ruolo decisivo per la democrazia, votando il taglio del 36,5% per opportunismo, incapacità di opporsi e obbedienza ai capi.
Tuttavia il ruolo del Parlamento va al di là dei suoi componenti, che possono essere non adeguati, perché la nostra democrazia, fondata sulla Costituzione, non sarebbe più tale senza il suo asse portante.

I colpevoli? Anzitutto leggi elettorali che assegnano da anni ai capi partito la nomina di deputati e senatori e l’hanno tolta ai cittadini che non possono scegliere chi verrà eletto. Gli attuali partiti sono in sostanza macchine elettorali e di potere, incapaci di un confronto politico sulle scelte per il futuro.

Tagliare il Parlamento non gli ridarà un ruolo centrale, anzi peggiorerà la situazione. Il Parlamento dipinto come casta serve a nascondere il ruolo accresciuto del potere dei governi. Il maggior potere dell’esecutivo è a spese del Parlamento, che è sottoposto alla grandinata dei decreti, dei voti di fiducia, sotto la minaccia costante di una crisi e di elezioni anticipate. Il Parlamento è ridotto a ratificare le decisioni del governo che ne dilatano il ruolo e che da controllato diventa potere imposto alla rappresentanza, lo dimostrano provvedimenti monstre e leggi approvate senza nemmeno essere lette.

Il M5S vuol mettere alla gogna il Parlamento, mentre il suo ruolo dovrebbe essere rilanciato, dimenticando che ruolo di governo e potere lo hanno assimilato sempre più alla cosiddetta casta. Il Movimento è succube di una ideologia che ha spinto Davide Casaleggio a parlare di un prossimo superamento del Parlamento, offrendo una cornice teorica che rende inquietante il taglio attuale. Il resto della maggioranza ha subito la scelta sull’altare del governo, capovolgendo posizioni precedenti. In campagna elettorale per il No basterebbe ricordare le ragioni dei voti contrari iniziali di Pd e Leu.

La Costituzione non doveva entrare in un accordo di governo. Così è evidente che il M5Stelle ha modificato posizioni precedenti, ora perfino i due mandati e le alleanze con partiti. La nuova maggioranza ha votato il testo concordato dalla precedente maggioranza Lega-5S con in cambio improbabili riequilibri: altre modifiche costituzionali e una nuova legge elettorale, dimenticate per un anno.

La discussione sul taglio del Parlamento è immiserita da una ridicola promessa di risparmio proprio quando l’Italia aumenta il deficit di 100 miliardi e avrà aiuti europei per centinaia di miliardi. Nessun serio accenno al rilancio del ruolo del Parlamento. Non a caso la destra ha riesumato il suo vecchio obiettivo presidenzialista, raccogliendo firme, chiedendo pieni poteri, per arrivare a un Presidente non più garante ma capo della fazione vincente. L’assetto attuale del Parlamento è immodificabile? No. A condizione che sia parte di un rilancio del suo ruolo e della democrazia.

Il confronto europeo non lascia dubbi, l’Italia ha un rapporto eletti/elettori in linea con i grandi Paesi europei. Per gli altri il confronto è fin troppo favorevole, soprattutto se è tra le “camere basse”. Resta il problema delle camere alte. Non tutti le hanno e le origini sono diverse. In Italia se ne è discusso senza trovare consensi sufficienti. Nel 2016 fu bocciata la proposta Renzi. Se vincerà il No sarà sempre possibile ragionare su una differenziazione dei compiti, mentre se il taglio passerà avremo due Camere con poteri identici ma con numeri che ne renderanno difficili funzionamento e ruolo. Sarà impossibile la proporzionalità al Senato in almeno nove Regioni. Il taglio del Parlamento limiterà la presenza a tre, massimo quattro partiti, gli altri elettori non saranno rappresentati e tanti territori, più gli italiani all’estero, saranno sotto rappresentati. Fermare il taglio era meglio, bocciarlo il 20/21 è indispensabile.

LA LETTERA DI MARCO TRAVAGLIO: “Perché votare SI”

Caro Grandi, avendoti conosciuto nelle battaglie in difesa della Costituzione quand’era davvero minacciata, non posso credere che questo coacervo di luoghi comuni apodittici, contraddittori, in parte anche falsi, sia roba tua.  Ma provo a spiegare, con dati certi e argomenti dimostrabili, perché dicevo e dico Sì al taglio dei deputati (da 630 a 400) e dei senatori (da 315 a 200).

  1. Combattendo le controriforme di Berlusconi e di Renzi, abbiamo sempre detto che la Costituzione non si stravolge per metà o un terzo. Meglio aggiornarla con aggiustamenti chirurgici, nello spirito dell’art.138. Se Renzi si fosse limitato a tagliare i parlamentari (tutti, non solo i senatori) e il Cnel, avrebbe stravinto il referendum anche col mio voto, anzi nessuno si sarebbe sognato di scomodare gli elettori per un esito scontato.
  2. Il “populismo” non c’entra nulla con questa riforma, invocata da molti, specie a sinistra, da oltre 40 anni: simile a quella della commissione Bozzi (1983), identica a quella della bicamerale Iotti-De Mita (‘93), in linea col programma dell’Ulivo (‘96). Il fatto che l’abbiano portata a casa i 5Stelle, con la stragrande maggioranza delle Camere, trasforma in populisti pure Prodi, De Mita, Bozzi e la Iotti? La scena mai vista di un Parlamento che si autoriduce contro gli interessi dei suoi membri e fa risparmiare allo Stato 80-100 milioni all’anno (quasi mezzo miliardo a legislatura) è l’esatto opposto dell’opportunismo. E il miglior antidoto all’anti-parlamentarismo: i cittadini, chiamati da anni a fare sacrifici, apprezzeranno un’istituzione che dà finalmente il buon esempio in casa propria.
  3. La Carta dei padri costituenti ci azzecca poco con l’attuale numero dei parlamentari, deciso non nel 1948, ma nel ‘63: allora il potere legislativo era esclusiva del Parlamento, oggi molte leggi sono dell’Ue e delle Regioni. Infatti anche altrove, da Londra a Parigi, si progetta di ridurre gli eletti.
  4. È vero: il Parlamento è stato trasformato dalle ultime tre leggi elettorali e da troppi decreti e fiducie in un’assemblea di yesman (peraltro volontari).
    Ma non dipende dal loro numero: se non cambiano la legge elettorale e i regolamenti, resteranno yesman sia in 945 sia in 600. Anzi, il taglio impone una nuova legge elettorale che, si spera, cancellerà la vergogna delle liste bloccate e ridarà potere, dignità e autorevolezza ai singoli parlamentari. Più rappresentativi, riconoscibili, responsabilizzati e un po’ meno inclini a votare Ruby nipote di Mubarak o a chiedere il bonus-povertà.
  5. Ridurre i parlamentari – come ha deciso 4 volte il Parlamento, non i suoi nemici, con maggioranze oceaniche (all’ultima lettura 553 Sì, 14 No e 2 astenuti) – non implica affatto il “superamento del Parlamento” (che certo non vuole il M5S, essendovi il gruppo più numeroso) né il “presidenzialismo” (che vuole solo Salvini, isolato da tutti gli altri, inclusa FI). Ma proprio un “rilancio del Parlamento” che, diventando meno pletorico, sarà più credibile, efficiente e funzionale perché composto da eletti meno indistinti e dunque più forti, autonomi e autorevoli. Difendere un’assemblea-monstre di quasi mille persone, di cui un terzo diserta una votazione su tre, due terzi non ricoprono alcun ruolo e solo il 10% assomma più di un incarico, è ridicolo.
  6. È falso che la riforma faccia dell’Italia il Paese con meno eletti in rapporti agli elettori. L’unica altra democrazia a bicameralismo paritario ed elettivo sono gli Usa: hanno il sestuplo dei nostri abitanti e un Congresso con 535 fra deputati e senatori (65 meno del nostro Parlamento post-taglio), che mai si sono sentiti deboli perché pochi, anzi. Sulle altre democrazie, il confronto va fatto solo con le Camere basse elette direttamente: Camera dei Comuni britannica (630 eletti contro i nostri 600, ma con 6 milioni di abitanti in più); Bundestag tedesco (709, ma con 20 milioni in più); Assemblée Nationale francese (577, ma con 7 milioni in più). Dopo il taglio l’Italia avrebbe 1 parlamentare ogni 85 mila elettori, contro una media di 1 su 190 mila delle democrazie con più di 30milioni di abitanti.
  7. Dire che il taglio “renderà difficile funzionamento e ruolo” delle Camere è un nonsense: l’efficienza di un’assemblea è inversamente proporzionale al numero dei suoi membri. E affermare che “sarà impossibile la proporzionalità al Senato in 9 Regioni”, “tanti territori saranno sottorappresentati” e avremo solo 3 o 4 partiti significa nascondere agli elettori che la maggioranza s’è impegnata, nel rifare i collegi dopo il taglio, a evitare quelle storture: per esempio, superando la base regionale del Senato che consentirà circoscrizioni pluri-regionali, a vantaggio delle Regioni più piccole e dei partiti minori.
    Ecco perché voterò Sì al referendum.

 

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