di RAFFAELE CICCARELLI*/ Ha attraversato gli Anni Sessanta e Settanta della vita italiana con la leggerezza e la spensieratezza degli anni della Dolce Vita, prima a Milano e poi a Roma, ma anche con il passo pesante e la potenza del bomber di razza. Ci ha lasciato in questi giorni Antonio Valentin Angelillo, argentino di nascita ma oriundo e italiano di adozione, nel primo caso calcisticamente come si usava in quegli anni, nel secondo per scelta, ormai indissolubilmente legato al Bel Paese. Affermatosi giovanissimo a suon di gol nella terra delle Pampas, a soli venti anni vinse il suo unico trofeo con una Nazionale, quella albiceleste dell’Argentina, imponendosi nel Sudamericano in Perù con otto reti, e fu portato in Italia all’Inter da Angelo Moratti. Qui, al secondo anno di permanenza, nella stagione 1958/59, sotto la guida dell’allenatore Giuseppe Bigogno, realizzò il record di reti in un torneo a 18 squadre, trentatre, che valsero ai neroazzurri il terzo posto.
“Gli angeli dalla faccia sporca”. Titolare inamovibile, ovviamente, riconosciuto, con Humberto Maschio che si divideva in quegli anni tra Bologna e Atalanta, e Omar Sivori, che invece militava nella Juventus, come il trio de “los angeles de la cara suicia” (gli angeli dalla faccia sporca), sembrava prepararsi ad essere protagonista in quella che sarebbe diventata la Grande Inter che si andava costruendo in quegli anni. In realtà, l’avvento in neroazzurro di Helenio Herrera gli precluse la sua permanenza, apparentemente per accuse proprio di dolce vita e per la sua chiacchierata relazione con la soubrette Ilya Lopez, invece anarchico nell’interpretazione del ruolo lì dove il Mago privilegiava il collettivo, e passò quindi alla Roma.
Due trionfi con i giallorossi. Alla Roma, come già accaduto ad un altro grande attaccante dell’epoca, Giampiero Boniperti, Angelillo arretrò il suo raggio d’azione diventando centrocampista, vincendo la Coppa delle Fiere nel 1960/61 (unico titolo internazionale dei giallorossi) e la Coppa Italia nel 1963/64 (nella foto: un gol di Angelillo in maglia romanista). Passò, poi, in varie tappe, al Milan dove, pur giocando poco, fece in tempo a vincere uno scudetto nella stagione 1967-68. Chiusa la carriera agonistica con un’ultima stagione al Genoa, con alterna fortuna si cimentò nella carriera di allenatore, non raggiungendo le vette che aveva toccato da calciatore. Come detto, come di moda all’epoca, anche per rilanciare le sorti della Nazionale che aveva mancato le qualificazioni al Mondiale di Svezia del 1958 (in triste analogia con l’attualità), fu selezionato in Azzurro, dove collezionò due sole presenze, venendo escluso dalla sfortunata spedizione cilena del 1962. Una lunga carriera, vissuta ma non sempre al vertice, per un bomber prolifico e anche discusso, un altro pezzo della Storia del calcio che fu che vola via.
*Storico dello sport
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