di RAFFAELE CICCARELLI*/ Il calciomercato da poco chiuso e la sosta per le gare delle nazionali permetteranno una ripartenza dei vari tornei continentali con certezze finora relative, ma ha lasciato anche un paio di spunti di riflessione, che potrebbero indirizzare il calcio del prossimo futuro. Il primo, più evidente, è stata la difficoltà che molti top club hanno avuto nel cedere, o far andare via, alcuni loro top player. Non parliamo del caso Mauro Icardi all’Inter, che ha vissuto di altre dinamiche, ma di Neymar al Paris St. Germain, di Gareth Bale al Real Madrid o di Paulo Dybala e altri alla Juventus. Questo per l’alto valore del trasferimento e per gli alti ingaggi di questi calciatori, investimenti che solo alcune società, i top club appunto, possono fare, e che finiscono per trovarsi in un vicolo cieco.
Il caso O’Ney. Si è saputo che lo stesso Neymar, pur di ritornare al Barcellona, oltre a diminuirsi lo stipendio, era disposto a versare egli stesso una parte della somma prevista per il trasferimento. Potrebbe rivelarsi una frontiera per il futuro: calciatori che si pagano il trasferimento, completando, in pratica, il percorso di autonomia e libertà degli stessi, partito con la legge Bosman del 1991 e giunto, forse, ad un punto di non ritorno. Se si pensa che ormai questi calciatori guadagnano, e valgono, cifre spropositate, si può ben capire, e immaginare, un tale scenario, almeno per evitare il cortocircuito in cui sono finiti i soggetti citati sopra. C’è, però, un secondo punto, che in apparenza si contraddice con questo: l’accumulo di campioni, sempre da parte di quei top club, con il chiaro intento, oltre che del ritorno di immagine e, quindi, economico, di puntare a vincere tutto, visto che ormai vittoria è sinonimo di incasso.
Real docet. È una tendenza iniziata qualche anno fa dal Real Madrid ma che ormai è applicata da quasi tutti i club che vanno per la maggiore, basti guardare agli organici della Juventus, del Barcellona, del Manchester City per trovare un chiaro riscontro a questa tesi. Con buona pace degli allenatori, che si ritrovano a gestire rose pletoriche composte da giocatori importanti e dalla forte personalità, con tutte le problematiche del caso. Per molte di queste squadre l’obiettivo principale è la vittoria nella Champions League, “sacro Graal” cui tutte ambiscono, e anche qui ci sono evidenze a quanto esposto, considerando che ormai in questa competizione, almeno dai quarti in poi, ritroviamo quasi sempre le stesse squadre, salvo qualche sporadica eccezione. Non è la Superlega chiusa paventata dai top club, ma certo un circolo ristretto, in cui almeno è possibile entrare, o per caso o a determinate condizioni, come accaduto al Tottenham la scorsa stagione. Se si riflette, forse l’ultimo spiraglio di romanticismo e poesia in un calcio ormai da tempo votato al business e al dio denaro.
*Storico dello Sport
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