La Storia, nel lungo scorrere dei suoi anni, è piena di episodi che all’impatto sembrano insignificanti, ma che poi si identificano come gli infinitesimali ingranaggi che ne muovono l’immenso motore. Lo sport, particolarmente, è pieno di queste situazioni: partite vinte o perse per bizzarri rimbalzi del pallone, corse il cui destino è stato deciso da centimetri o da misteriosi inciampi in dirittura d’arrivo. Il tutto viene il più delle volte rubricato come curiosità, nel calcio uno di questi episodi è legato ad un minuto in particolare: il minuto ottantaquattro. Per l’esattezza, non tanto a questo minuto in sé, quanto alla sua durata alla fine della partita: sei minuti. Un lasso di tempo breve, solitamente, nelle faccende umane, che può essere decisivo o meno sull’esito di una partita. Certo, non è molto, ma sulla importanza di questo breve lasso di tempo molto incide la fortuna o, meglio, il Destino.
La storia dei “6 minuti”. Nel nostro caso, negli episodi in questione, questi sei minuti non hanno modificato un risultato già segnato ma, coinvolgendo calciatori importanti, hanno assunto la loro valenza. Il primo risale al 1970: il 21 giugno a Città del Messico, Stadio “Azteca”, si disputa la finale del campionato del mondo, di fronte il Brasile di Pelè e dei cinque “dieci” (Pelè, Jairzinho, Tostao, Rivelino, Gerson) e l’Italia di Ferruccio Valcareggi e della famigerata “staffetta”, giunta a questo punto in maniera inattesa e dopo l’epica semifinale contro la Germania Ovest (il partido del siglo, il famoso quattro a tre). Di fronte ad un avversario così quotato, gli Azzurri disputarono un buon primo tempo ma, esausti, crollarono nella ripresa, fino all’ingeneroso quattro a uno finale. Il fattaccio avvenne a sei minuti dal termine: molto si era già discusso sulla staffetta che si era inventato Valcareggi e coinvolgeva i calciatori più rappresentativi di quella Nazionale, l’interista Sandro Mazzola e il milanista Gianni Rivera. Un’invenzione probabilmente giornalistica che serviva ad acuire la rivalità meneghina, alimentata anche dall’incertezza di Valcareggi, che avrebbe potuto tranquillamente far coesistere i due giocatori. In quella finale fu proprio a sei minuti dalla fine che il CT decise l’inutile avvicendamento, facendo entrare Rivera tra l’altro non al posto di Mazzola, ma di Roberto Boninsegna, dando l’impressione di dare un contentino al milanista, provocando perciò un vespaio di polemiche che finirono per avvelenare l’epilogo di quella che era stata una fantastica impresa, pur mancando la vittoria finale.
Da Rivera a Totti. Un episodio analogo è accaduto in questi giorni: martedì 16 febbraio, ottavi di andata di Champions League. In uno stadio “Olimpico” finalmente stracolmo di tifosi appassionati e degno dei migliori scenari europei, a dimostrazione che anche in Italia si può, di fronte ai giallorossi di Luciano Spalletti c’è l’arduo ostacolo del Real Madrid di Cristiano Ronaldo. La Roma è protagonista di una buona gara, anche se deve arrendersi alle prodezze dei campioni avversari, non è protagonista in campo la temuta, dagli spagnoli, Lejenda giallorossa, Francesco Totti, cui Spalletti concede solo sei minuti finali. Polemiche anche in questo caso, naturalmente: perché impiegare Er Pupone solo nei minuti finali di una gara già decisa? Non credo si debba pensare ad una umiliazione, sarebbe assurdo, di sicuro in casa romanista in questo momento danno la sensazione di gestire con un certo imbarazzo il sunset boulevard del Capitano. Con il suo carisma, forse impiegato prima avrebbe potuto mettere in maggiore difficoltà le merengues, chissà. Oppure poteva tranquillamente essere lasciato in panchina, per giocare magari di più in campionato alla conquista del terzo posto, chissà. Interrogativi, come spesso accade nella vita e nello sport, generati, in questo caso, dagli ultimi, maledetti, sei minuti.
*Storico del calcio
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