di ENNIO SIMEONE – Nicola Zingaretti si è presentato su La7 a “Di Martedì” davanti a un Floris col solito vacuo sorriso stampato sugli zigomi e “potenziato” dagli ormai soliti due giornalisti del gruppo editoriale De Benedetti rispondenti ai nomi di Marco Damilano e Concita De Gregorio e dall’altrettanto solito Sallusti direttore del “Giornale” per conto dell’editore Berlusconi. Il neo segretario del Pd (nonché presidente della Regione Lazio), contornato dai 5 capilista per le circoscrizioni delle prossime elezioni europee, ha ripetuto – alla insistita domanda dei suoi interlocutori – due concetti che costituiscono il suo consolidato ritornello propagandistico: 1. il governo giallo-verde sta portando l’Italia allo sfascio; 2. è da escludere ogni futura ipotesi futura di una qualche intesa con il M5s per dare all’Italia un governo diverso.
A sostenerlo in questa sua granitica posizione hanno provveduto i due (dei cinque candidati) presenti anche in veste di suoi angeli custodi: la fedelissima renziana Bonaccorsi e il renziano di complemento Calenda. Nessuna risposta, se non generiche affermazioni propagandistiche, alla timida obiezione degli intervistatori che per governare occorre avere una maggioranza almeno del 51% dei senatori e dei deputati mentre attualmente il Pd può contare solo sul 18% dei parlamentari e non si intravede – anche in caso scioglimento delle Camere e di nuove elezioni – una concreta possibilità che possa da solo raggiungere quell’obiettivo.
Nessuno degli interlocutori in studio gli ha rivolto da domanda che dovrebbe venire istintiva: ma allora, visto che il Pd – allineandosi alla volontà dell’uomo che ha portato il partito alla sconfitta, cioè Matteo Renzi – ha rifiutato l’anno scorso, subito dopo le elezioni, l’offerta di alleanza arrivata dal M5s, con chi vorreste allearvi per fare un governo che vi piaccia? Con Berlusconi?
Ma oggi Zingaretti ha insistito in un comizio nel lanificio Bellucci a Prato: «Dico a Di Maio: non è accettabile dire a Matteo Salvini che si è alleato con i neonazisti, e poi coi voti dei 5 Stelle gli fate fare il ministro. Su determinati valori o c’è coerenza o diventa ipocrisia». Ci vuole una bella faccia tosta a fare un’affermazione del genere. Chi è che ha costretto Di Maio a ripiegare sul “contratto” di governo con la Lega per evitare di costringere gli italiani a tornare di nuovo alle urne dopo il 4 marzo del 2018? Se c’è qualcuno che può essere accusato di ipocrisia e di mancanza di coerenza è il Pd, di ieri e di oggi. I suoi dirigenti, di ieri e di oggi, abbiano almeno il coraggio del silenzio.
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