di FABIO CAMILLACCI/ In una storica finalissima di Champions League tutta britannica, non poteva che finire con il classico “risultato all’inglese”. Espressione in voga quando la vittoria valeva due punti e c’era ancora la cosiddetta “media inglese”. Nel meraviglioso scenario del Wanda Metropolitano di Madrid, Liverpool batte Tottenham 2-0. Decidono: Salah su rigore dopo due minuti e Origi, già eroe in semifinale contro il Barcellona. Vittoria complessivamente meritata quella dei Reds di Jurgen Klopp, fino a oggi per molti un altro “perdente di successo” dopo due finali di Champions e una di Europa League perse. Alla fine, la superiorità tecnica del Liverpool e un dna storicamente vincente, hanno fatto la differenza. La compagine della città dei Beatles sale così sul tetto d’Europa per la sesta volta nella sua storia. Per il Tottenham invece, la prima volta è amara. Ribadiamo: splendida la cornice del Wanda, stadio dell’Atletico Madrid. Uno sorta di avveniristica “cattedrale nel deserto”, che si erge in una landa desolata alla periferia di Madrid, a pochi chilometri dall’aeroporto di Barajas. Uno stadio bellissimo progettato e costruito in poco tempo, al contrario di quando accade in Italia, soprattutto a Roma. Uno stadio periferico ma facilmente raggiungibile in pochi minuti con la metropolitana. La linea 7 del metrò fa capolinea proprio all’Estadio Metropolitano. La Spagna sta avanti e di molto rispetto al Belpaese (nella foto a destra: l’uscita della metro al Wanda).
La gara ha deluso le aspettative. Tutti si aspettavano una partita all’inglese, fatta di corsa e spavalderia. Al contrario, ha prevalso il tatticismo e la prudenza. Forse il gol lampo di Salah ha condizionato, in un senso e nell’altro, i due contendenti. Brutta gara, fatta di tanti errori individuali, e, come detto, giocata a un ritmo inferiore alle attese. Alla fine viene premiata la squadra che sbaglia meno, con un gol all’alba del match e un altro al tramonto. In mezzo, tanta noia. Sponda Tottenham: forse non è stata una bella idea quella del tecnico Pochettino di schierare titolare Harry Kane reduce da un brutto infortunio e ancora fuori condizione. Sorprende la decisione di mandare in panchina Lucas Moura, il grande protagonista della semifinale di ritorno contro l’Ajax. Sponda Liverpool: resta fuori Milner e davanti spazio al tridente “maravilla” Salah-Firmino-Mané. Ed è proprio il senegalese a firmare la prima azione decisiva della partita: il suo tentativo di cross è fermato anche con il braccio, oltre che di petto, da Sissoko. L’arbitro sloveno Skomina non ha dubbi e fischia il giusto rigore trasformato poi dal talentuoso egiziano Salah detto “Momo”. Sono passati appena 2′ ed è il penalty più rapido della storia delle finali di Champions. Non il gol più veloce, perché Maldini nel 2005 a Istanbul, in una notte poi maledetta per il Milan sempre contro i Reds, fu addirittura più veloce nell’andare a segno e senza passare dal dischetto.
La reazione degli Spurs è sterile. Così è sempre il Liverpool a cercare di colpire con più insistenza spaventando il portiere francese Lloris. Al Tottenham invece mancano i guizzi delle punte: Son e Alli pasticciano, Kane non ce la fa. I londinesi impegnano l’ex portiere romanista Alisson soltanto dopo l’80’. Ma proprio quando gli Spurs sembrano finalmente poter creare pericoli a ripetizione, arriva la mazzata. Vertonghen concede generosamente un corner (retropassaggio a Lloris fuori misura), dal quale nasce il raddoppio: Matip appoggia per Origi che con un diagonale secco di sinistro non lascia scampo all’estremo difensore del Tottenham. Il belga era entrato al 58′ al posto di uno spento Firmino. Tipico del funambolico brasiliano: un giocatore che va a corrente alternata, questa per lui era una serata no e si è visto fin dall’inizio. Al fischio finale sugli spalti i fantastici tifosi Reds possono intonare il classico “You’ll never walk alone”. Brividi. Il Liverpool è di nuovo sul tetto d’Europa, anche perchè rispetto a un anno fa a Kiev contro il Real Madrid, oggi tra i pali aveva un portiere vero, non il disastroso Karius.
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