di SERGIO SIMEONE* – Nei mesi di giugno e luglio il dibattito politico ha avuto come oggetto prevalente il tema dei finanziamenti europei per aiutare i Paesi più colpiti dalla pandemia (e tra questi innanzitutto l’Italia) a risollevarsi dalla crisi economica in cui erano precipitati. E’ nota in particolare la diatriba che si è accesa tra chi sosteneva che occorreva far ricorso anche al MES (meglio conosciuto come fondo salva stati) e chi sosteneva invece che era preferibile puntare tutte le carte sul recovery fund. E’ noto anche che all’interno della maggioranza di governo i cinque stelle si sono subito dichiarati fieramente avversi all’uso del MES a causa delle condizionalità che avrebbero accompagnato la sua elargizione. Non parliamo poi dei partiti sovranisti, che vedevano con il ricorso al MES messa in pericolo la sovranità del nostro Paese, che sarebbe stata violata dalla intromissione dell’Europa nelle nostre scelte di politica economica.
A nulla sono valse le rassicurazioni della Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen e del nostro Gentiloni, commissario per l’economia, circa la inesistenza di condizionalità tranne quella dell’uso esclusivo dei finanziamenti per rafforzare il sistema sanitario. Per cui tutti hanno gioito quando uei , al termine di una lunga e dura battaglia, è riuscito a luglio ad ottenere, in parte a fondo perduto in parte a titolo di finanziamento con bassissimo tasso di interesse, l’impegno dell’Europa a finanziare con 209 miliardi del recovery fund la ripresa della nostra economia. Si sarebbero presi (così pensavano i nemici del MES) due piccioni con una fava: il sostegno economico e la salvaguardia della autonomia decisionale del nostro Paese.
Si è scoperto poi invece, leggendo bene il testo dell’intesa sottoscritta dai 27 Paesi, che per l’uso dei soldi del recovery fund ci sono molte più condizionalità che per l’uso del MES. La elargizione dei fondi, infatti, sarà dilazionata in più tranches. Ma prima di avere la prima rata verrà stilata una vera e propria pagella in cui il punteggio più alto verrà assegnato per la coerenza con le raccomandazioni specifiche per ogni Paese fatte dalla Commissione. Insomma bisognerà seguire pedissequamente l’agenda predisposta da Bruxelles. E ancora “la valutazione dei piani deve essere approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. Ed infine, “in merito al soddisfacente conseguimento degli obiettivi intermedi e finali la Commissione chiede il parere del comitato economico e finanziario (ECOFIN, costituito dai ministri finanziari UE), che ”non approva pagamenti fino a quando non avrà discusso la questione in maniera esaustiva.”
A questo punto qualche sovranista ci sarà rimasto un po’ male, io invece ho tirato un sospiro di sollievo ed ho cominciato a nutrire qualche speranza che, come si dice in Sicilia, non finisca tutto a schfìo. Già, perché che cosa sta succedendo in questi giorni? Mentre il governo si accinge ad elaborare il recovery plan da presentare ad ottobre, ci sono due categorie di soggetti che si stanno muovendo: ci sono economisti e politici di alto livello (in primis Draghi e Gentiloni) che dicono che ci viene offerta una occasione storica da non sprecare per rinnovare profondamente il nostro sistema economico, in affanno già prima della pandemia, puntando su alcuni obbiettivi fondamentali: green economy, formazione, riforma della pubblica amministrazione, riforma della giustizia, dotazione di moderne infrastrutture materiali ed immateriali, superamento dello spaventoso divario tra nord e sud del Paese. Ci sono quelli che invece preparano una miriade di progetti fasulli perché vedono solo l’occasione per accaparrarsi una fetta dei finanziamenti in arrivo per soddisfare gli appetiti di lobbies e clientes .
Ebbene, se la partita delle due categorie si giocasse esclusivamente in Italia chi pensate che vincerebbe? Io ho dei forti dubbi che prevarrebbero le raccomandazioni di Mario Draghi e di Paolo Gentiloni su chi sta allestendo l’assalto alla diligenza. Ed allora ben vengano le “intromissioni” della Commissione, di ECOFIN e , perché no?, anche della troika nelle nostre scelte di utilizzo del recovery fund. E’ l’unica possibilità di salvezza.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato Scuola della Cgil
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