di ELENA VANNI – Partiamo da una considerazione molto semplice: vedere un concerto di Marco Iacampo è una fortuna. Il cantautore, un omone garbato dall’accento veneto e le radici molisane, è capace di stupire senza magie, di affabulare con un’epica del quotidiano e di rapire con la nitidezza e la rotondità della sua voce.
L’occasione del concerto al Quirinetta di Roma è stata la presentazione dell’ultimo album Flores, giudicato da molte riviste di settore tra i migliori album del 2015. Presentato in solitaria, l’album vanta la collaborazione di Enrico Milani al violoncello, Paolo Lucchi al sax, Daouda Diabate allo ngoni, Nicola Mestriner ai suoni elettrici e Leziero Rescigno alle percussioni.
Alla carriera musicale, Iacampo ha sempre affiancato altre attività, da quella pittorico/grafica, agli incarichi di direttore artistico; tra le altre cose è conduttore di programmi radiofonici (White noise su radio Base Popolare Network) e ideatore di serate nei locali (Martedì al Vapore, al Vapore di Marghera). A lui inoltre dobbiamo la nascita di un progetto innovativo quale Il nuovissimo canzoniere italiano, un festival che è mappatura della canzone italiana contemporanea, dove la musica senza concorsi e senza rivalità diviene protagonista.
Dal punto di vista più strettamente autorale, dopo il progetto solista in inglese Goodmorningboy, che l’ha portato a suonare in un tour Europeo, Iacampo ha inciso Valetudo nel 2012, primo disco che porta il suo nome, e nel 2015 ha realizzato il suo ultimo album Flores. E di questo “ritorno a casa” gli siamo molto grati, perché Iacampo possiede una capacità rara di usare le parole per dipingere mondi, di creare canzoni da assaporare, da vivere, che ti allontano dalla pretesa di volerle capire. Ogni fiore di questo bouquet è una canzone di acqua e vento, di elementi della natura, come Biancavela e Palafitta, atmosfere fatte di spazi aperti, di bisogno di respirare e di sentire la terra sotto i piedi.
Iacampo racconta latitudini e suggestioni lontane, mescola i cori degli alpini al melodramma napoletano, viaggia tra il nord e sud della nostra penisola e del mondo tra ballate e ritmi sudamericani. Le sue sono canzoni composte da quello che ti tiene in vita, che è la cosa che più ami fare, come spiega lui stesso introducendo Ogni giorno ogni ora, una pezzo dai ritmi melanconici e rituali.
Dal vivo, la rarefazione delicata di parole e suoni si sussegue in un ipnotico flusso intrecciato a una convivialità schiva ma sincera: il cantautore introduce ogni pezzo con piccoli racconti scherzando con il pubblico che, come dice lui stesso, non è folto, ma connesso. In chiusura un momento straordinario con l’esecuzione di Che bella carovana, brano tratto dal progetto collettivo Il paese è reale: il ritornello cantato dal pubblico sprigiona applausi convinti e in tutti gli spettatori la speranza che qualche organizzatore lungimirante ci riporti presto Marco Iacampo a Roma.
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