di ANTONIO FOCCILLO* – La cifra per ora stanziata dal governo per gli aumenti salariali del pubblico impiego – 300 milioni – sono pochissimi, sono 5 euro, non servirebbero ad aumentare il potere d’acquisto e a far spendere i lavoratori per contribuire al miglioramento dell’economia. È chiaro che ci vogliono più risorse, perché questi lavoratori dal 2009 non hanno aumenti né contrattuali né salariali in caso di promozione. Quanto all’ipotesi ventilata dalla Cigl di un aumento di 220 euro mensili la Uil non ha mai parlato di cifre in termini così determinati, per noi vale la contrattazione quando si farà. Abbiamo fatto vari calcoli: i 7 miliardi (la stima fatta dai sindacati sull’aumento) derivano da un incremento di 150 euro, mentre se si dovessero dare 100 euro dal primo giorno di scadenza contrattuale sarebbero 4 miliardi. Tutto questo può variare nel momento della contrattazione.
Noi vogliamo fare un contratto che recuperi il potere di acquisto perso e che dia la possibilità di avere un salario decente come nel settore privato. Sulla differenza tra pubblico e privato va detto che nel settore privato i lavoratori hanno avuto una continuità di rinnovi contrattuali, mentre quelli del pubblico impiego hanno il contratto fermo al 2009. I lavoratori del pubblico impiego poi, non hanno avuto tutti gli 80 euro ma solo 800mila su 3 milioni e il 30 per cento li hanno dovuti restituire in corso d’opera, e alcuni tramite il 730.
Bisogna fare giustizia. Sulla possibilità che gli stipendi reggano per la bassa inflazione ho fatto dei calcoli con il nostro centro studi: abbiamo dimostrato che un lavoratore che mediamente ha preso 24 milioni di stipendio in un anno, ha perso 3 milioni di incrementi rispetto agli altri lavoratori. La stessa forbice tra pubblico e privato, in passato a vantaggio del settore pubblico, adesso proprio per il blocco dei contratti si è riequilibrata a favore del privato.
- *Antonio Foccillo è segretario confederale della Uil. Intervento a Radio 24
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