Nel suo storico discorso di fronte al Congresso degli Stati Uniti, papa Bergoglio ha detto che la “nostra responsabilità di proteggere e difendere la vita umana… mi ha portato, fin dall’inizio del mio ministero, a sostenere a vari livelli l’abolizione globale della pena di morte. Sono convinto che questa sia la via migliore, dal momento che ogni vita è sacra, ogni persona umana è dotata di una inalienabile dignità, e la società può solo beneficiare dalla riabilitazione di coloro che sono condannati per crimini”. Dopodiché, martedi scorso a Jackson, nello stato della Georgia, è stata giustiziata tramite iniezione letale Kelly Renee Gissendaner, 47 anni, mandante dell’assassinio del marito.
Occhio per occhio, dente per dente? Ma che dire allora del diciannovenne saudita Ali al Nimr, colpevole solo di aver protestato contro il governo del suo paese? “Ali Mohammed al Nimr, nipote di un assai famoso oppositore sciita al regime dell’Arabia Saudita, aveva 17 anni quando, nel febbraio 2012, venne arrestato per aver preso parte a una manifestazione nella provincia di Qatif, ed è stato condannato a morte il 27 maggio scorso”, scrive Paolo Mieli, facendo presente che nel regno mediorientale “il ritmo delle esecuzioni si è intensificato al punto che nel maggio scorso è stato pubblicato un bando per il reclutamento di otto nuovi “funzionari religiosi” da adibire al taglio delle teste. Lo scrittore Tahar Ben Jelloun ha minuziosamente descritto cosa accadrà ad Ali al Nimr il giorno dell’esecuzione: “Sarà decapitato, poi crocifisso, e infine lasciato agli uccelli rapaci e alla putrefazione”.
E, in effetti, questa “abitudine”, come scrive Mieli, non è nuova. Ma non è estranea nemmeno alla cultura giuridica di casa nostra. Ebbe applicazione massiccia in altri tempi, in conformità con quanto sancito dal diritto romano nei casi di ribellione e brigantaggio. Nel 71 a.C. gli schiavi insorti con Spartaco vennero crocifissi lungo la via Appia, sicché da Roma a Capua il viandante poteva “ammirare” seimila corpi sanguinanti, morti o morenti, appesi ai legni, a monito contro la sedizione. Oggi noi incontriamo insormontabili difficoltà a immaginarci che tutto questo è stato, ed ha avuto luogo in Europa.
Giustamente inorridiamo nell’assistere alle pratiche della crocifissione, della decapitazione, della lapidazione tuttora in vigore nel mondo islamico.Giustamente ci sentiamo molto vicini a Papa Francesco quando condanna la pena di morte, e molto lontani dai funzionari di giustizia della Georgia della Virginia incaricati di praticare l’iniezione letale ai condannati.Ma molti nostri concittadini europei fanno fatica a comprendere per quale ragione un omicida non debba essere a sua volta giustiziato. Un premier europeo, per esempio, si è detto favorevole alla reintroduzione della pena di morte “se la maggioranza della gente pensa che questa rappresenti una difesa più efficace contro il dilagare della criminalità”.Non è improbabile che un po’ di gente si chieda che cosa ci sia di sbagliato in questo ragionamento, indubbiamente errato. Secondo il credo populista la democrazia possiede un semplice e fondamentale aspetto egualitario: “uno vale uno”.
In realtà, questo groviglio mentale resta inestricabile finché non ci disponiamo a pensare alla democrazia in senso ‘moderno’,non cioè come a un “uno vale uno”, ma come a una specialissima eguaglianza tra valori infiniti. Ogni “uno” deve valere infinitamente. Nel senso che ciascuna persona umana possiede un proprio inalienabile valore assoluto. Un valore che non può essere rifunzionalizzato populisticamente nella disponibilità di ciò che pensa la “maggioranza della gente”. No, non lo si può fare! Né in rapporto alla lotta per la legalità né in rapporto a qualsiasi altra “santa” causa.
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