In un’aula piena di osservatori che avevano prenotato il loro posto da mesi (studenti di giurisprudenza delle università di Bologna, Lecce, Padova, avvocati e giornalisti), i 17 magistrati della Corte europea per i diritti umani, in toga con il simbolo europeo, hanno fatto il loro ingresso alle 9,15 precise nell’aula di Strasburgo dove si doveva discutere, e si è discusso, sulla candidabilità o la incandidabilità di Silvio Berlusconi in base alla legge Severino (che prevede la incandidabilità di una persona che abbia avuto una condanna per determinati reati che prevedono una condanna superiore a 4 anni).
La presidente, la tedesca Angelika Nussberger – al posto dell’italiano Guido Raimondi, che ha preferito astenersi in una vicenda tanto sensibile per il suo paese di origine – ha dato il via ai lavori riepilogando brevemente i fatti.
Poi la prima a prendere la parola è stata la rappresentante dello Stato italiano, Maria Giuliana Civinini, rigettando le ipotesi di violazione dei diritti dell’ex premier. Con l’applicazione della “legge Severino”, che ha determinato la sua decadenza dalla carica di senatore, oltre a renderlo incandidabile, ha detto la magistrata, “i diritti di Silvio Berlusconi sono stati scrupolosamente garantiti e tutti i i passaggi sono stati minuziosamente rispettati; la decisione non era arbitraria ma legale e giuridicamente motivata, rispettando in teoria e in pratica la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo”.
Rifacendosi ad alcune sentenze della stessa Corte di Strasburgo, oltre che a pronunciamenti della Corte costituzionale italiana, il giudice ha detto che gli articoli 6 e 7 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, invocati dai legali di Berlusconi, “non si applicano alle leggi elettorali” e che nessuna legge è stata applicata retroattivamente, visto che il premier è stato eletto al Senato nella primavera 2013, ovvero dopo l’entrata in vigore, a fine dicembre 2012, del testo unico sulle condizioni per l’ineleggibilità secondo la legge Severino.
Di diverso parere i legali di Berlusconi. Come ha sottolineato Andrea Saccucci, “il Senato ha privato Berlusconi del suo seggio sulla base di un presunto reato commesso 15 anni prima”. La frode fiscale per cui è stato condannato definitivamente nell’agosto 2013 risaliva infatti al periodo fra il 1995 e il 1997, hanno ricordato i legali. Inoltre, ha aggiunto Saccucci, “il decreto Severino è stato promulgato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 21 dicembre, il giorno prima della convocazione delle elezioni”. Non sarebbe stato per caso, sostiene la difesa dell’ex premier: nel febbraio 2013 Berlusconi fu eletto al Senato, ma, dopo la sua condanna definitiva, in agosto, il Senato ha deciso di farlo decadere di fatto annullando tale elezione. Questo è il secondo punto su cui sono state sollevate le perplessità di alcuni magistrati della Corte: i legali di Berlusconi hanno infatti ricordato la “arbitrarietà e la discrezionalità della decisione del Senato”, confrontandola con una decisione contraria presa nel caso dell’ex senatore Minzolini. In quel caso, il 16 marzo 2016 il Senato ha votato contro la sua decadenza dopo una condanna per peculato. Secondo Civinini, i casi in questione sono oggettivamente diversi: “Per Berlusconi non è stata votata la decadenza ma l’annullamento dell’elezione, mentre per Minzolini è stata respinta la decadenza. Inoltre in questo secondo caso, c’era il sospetto del fumus persecutionis dovuto alla presenza nella Corte di appello che lo ha condannato, di un ex parlamentare avversario di Minzolini”.
Nessuna differenza, invece, per l’avvocato Edward Fitzgerald, secondo il quale quella di Berlusconi “è stata assolutamente una condanna politica”. Il legale britannico ha paragonato il Senato a un’arena romana in cui il destino dei gladiatori veniva deciso dai pollici alzati o versi: “è stato privato del suo seggio da un Senato composto in maggioranza dai suoi avversari politici”, ha sottolineato. Le domande dei giudici sono state “interessanti” secondo l’avvocato Nicolò Ghedini, che ha assistito all’udienza assieme al collega Franco Coppi, il quale ha detto di aspettare la decisione “con una qualche fiducia”. “Le cose si sono svolte perfettamente – ha commentato la rappresentante dello Stato italiano, Maria Giuliana Civinini – e non è emerso nulla di nuovo: ora dobbiamo solo aspettare la sentenza”.
Subito dopo l’udienza, i 17 magistrati della Grande Chambre si sono riuniti a porte chiuse per “iniziare le loro deliberazioni”: ma, precisa la Corte, la sentenza sarà pronunciata “solo in un momento successivo”. I tempi possono essere lunghi: la media, per sentenze di questo tipo, è fra i 6 e i 12 mesi. La difficoltà nella redazione di una sentenza come questa, solitamente affidata a uno o due magistrati del collegio, consiste nella necessità di tenere conto delle legislazioni di tutti i 47 paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa: i pronunciamenti della Corte per i diritti dell’uomo possono poi essere utilizzati per giustificare ulteriori ricorsi ed è molto importante che i magistrati valutino attentamente ogni parola che viene scritta. “I tempi non saranno brevissimi – ha ammesso Coppi – e anche se avremmo tutto l’interesse a conoscere l’esito in breve tempo, non possiamo farci niente”.
I giudici dovranno tener conto anche dell’intreccio temporale fra le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi e quelle elettorali e del sospetto di decisioni prese “a orologeria” per penalizzare l’ex premier, ma anche l’arbitrarietà delle decisioni della Giunta del Senato, che non decide sempre secondo gli stessi criteri quando si tratta di dichiarare il decadimento di un eletto condannato. Sono queste le due principali questioni sul tavolo dei 17 magistrati della Corte europea.
Del resto durante l’udienza di Strasburgo, con oltre due ore di dibattimento pubblico davanti alla Grande Chambre, quattro magistrati hanno posto domande alle parti soprattutto su questi due aspetti, dimostrando interesse per le ipotesi proposte dai legali di Berlusconi e in particolare sul confronto fra il suo caso e quello dell’ex senatore Augusto Minzolini.
La decisione, spiegano alla Corte, sarà presa “a maggioranza dei giudici effettivi”, ma “è impossibile prevedere – per le ragioni che abbiamo esposto prima – quanto tempo servirà alla Grande Chambre per pronunciarsi”.
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