La pasticciata riforma costituzionale – che porta la firma del ministro Maria Elena Boschi (nella foto con il ministro Marianna Madia) ma che era nata nel patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi e poi era stata adattata dal capo del governo e del Pd a suo uso e consumo (quando i sondaggi lo davano galoppante al 40%) – sarà il tormentone dell’estate e, ancor più, dell’autunno. Infatti sono sempre più numerosi in parlamento, persino tra i renziani di ferro, coloro che vedono i pericoli di una mortificazione del Senato a “camera di serie B”, composta nemmeno da “nominati” dei partiti ma addirittura da “sub-nominati” (cioè da membri scelti dai consigli regionali e incaricati di operare “a mezzo servizio”). Insomma, se la riforma venisse approvata così come l’ha partorita Renzi nella sua ambizione di fare dell’Italia un paese con un uomo solo al comando (e con la facoltà di allearsi di volta in volta con chi è disposto a fargli da sgabello), il superamento dell’odiato “bicameralismo paritario” porterebbe ad un sistema che tradisce i princìpi elementari di democrazia della nostra Costituzione.
Per fortuna ora i numeri della maggioranza sono a rischio. Almeno a giudicare dalla presentazione degli emendamenti in commissione, che puntano a salvaguardare il principio che anche i senatori, come i deputati, debbono essere eletti dai cittadini e non nominati – direttamente o indirettamente – dai partiti. Sono in tutto più di mezzo milione le proposte di modifica presentate dai vari gruppi parlamentari e sul Senato elettivo si saldano, a sorpresa, non solo le forze di opposizione e la minoranza del Pd ma anche Fi e altre componenti della maggioranza che potrebbero mettere in seria difficoltà il progetto renziano. Sale fino a 176 il numero dei senatori che, sulla carta, al momento, potrebbero votare a favore degli emendamenti per il Senato elettivo. Ma Matteo Renzi, parlando alla direzione del Pd dei grandi risultati ottenuti in questi mesi, ricorda che “la maggioranza non è mai mancata e mai mancherà, vedendo i numeri”.
Sul ddl di riforma costituzionale “noi siamo disponibili a confrontarci e ad apportare modifiche migliorative al testo ma a patto che non riportino al punto zero”, continuano a dire i vicesegretari del Pd Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, riecheggiando la posizione espressa da Matteo Renzi. Ma se la maggioranza pensava di puntare sul patto del Nazareno per indebolire le richieste della minoranza Pd, oggi anche da Fi è arrivata una richiesta di intervenire sul progetto complessivo per il nuovo Senato. “E’ necessario individuare una modalità di elezione che ne garantisca la legittimità e rappresentatività, la cui massima espressione è nell’elezione diretta”, ha detto Paolo Romani, il cui gruppo ha poi depositato più di mille emendamenti. Altra novità è la posizione del gruppo di maggioranza Per le Autonomie, che con la firma di 12 senatori ha presentato a sua volta un emendamento sul Senato elettivo.
Se poi il governo pensasse di by-passare la commissione Affari costituzionali andando direttamente in Aula, allora il record-man degli emendamenti, Roberto Calderoli, è già pronto a dare battaglia: con “6 milioni e mezzo di proposte di modifica alla riforma”. Tutto questo dimostra che a settembre si dovrà trovare un’intesa politica per mettere fine alle schermaglie procedurali se non si vuole mettere a rischio il progetto Boschi.
Un suggerimento che per primo il presidente del Senato, Pietro Grasso, aveva rivolto al Pd in occasione della cerimonia del Ventaglio a Palazzo Madama. Bisogna “privilegiare la strada dell’accordo politico alto, dell’intesa sui contenuti, piuttosto che la ricerca dei singoli voti”, aveva detto il 28 luglio. E nonostante gli interventi del ministro Boschi, della relatrice Anna Finocchiaro e (davvero improvvido e irritante, con una lettera al “Coriere della sera”) dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, tutti contrari a un cambiamento del testo arrivato dalla Camera, la posizione di Grasso è ancora quella: serve un accordo politico per superare le forche caudine degli emendamenti, non si può puntare tutto sulla loro inammissibilità in Aula. Anche perché, è questa l’opinione della seconda carica dello Stato, l’articolo 2 è stato modificato alla Camera e dovrà necessariamente passare per un nuovo voto al Senato.
Questo hanno detto anche i costituzionalisti e questo è quanto chiede persino un senatore del Pd che non appartiene alla minoranza, Giorgio Pagliari, con un emendamento, proprio all’articolo 2, che serve a sciogliere il nodo aperto dalla modifica introdotta alla Camera sulla durata del mandato dei senatori subnominati. C’è un mese e mezzo di tempo e Grasso ancora auspica che il Pd sia in grado di risolvere “politicamente” la questione prima che si arrivi in Aula.
Ma che torniamo al tempo dei Savoia con un senato dei “ricchi”ed un parlamento dei “poveri”. Il senato và chiuso punto e basta e i parlamentari una quota per regione, questi stanno facendo un nuovo pasticcio i “MAGNA-MAGNA” non vogliono perdere la gallina dalle uova d’oro e noi poveri imbecilli stiamo ascoltando quello che dicono in nome della LORO costituzione e non quella voluta dai padri fondatori oggi è ora di dire basta sia con stipendi a 6 cifre al mese che con un sistema fcinoroso e è solo capace di frci pagare tasse e tartassarci