L’onorevole Gianni Cuperlo – inserito, in rappresentanza della minoranza del Pd, nella Commissione incaricata di preparare una bozza di modifica della legge elettorale “Italicum” da presentare in parlamento prima del referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre – ha dichiarato: “Due giorni fa ho sottoscritto il documento che rivede i pilastri della legge elettorale. L’ho fatto nel tentativo di ridurre la distanza almeno sulle regole della rappresentanza e anche perché quel testo contiene parte delle richieste avanzate da molti di noi negli ultimi mesi. Per parte mia non è una formalità, ma un impegno a cui ora sono chiamati a dar corso i vertici del Pd e dei gruppi parlamentari. Sentivo e sento il dovere di provare – almeno provare – a non spezzare il filo che fa stare assieme una comunità, nonostante le differenze che sono profonde.
Vedo però che questa fatica si colloca all’opposto di chi urla ‘fuori fuori’ verso un pezzo del nostro popolo. Considero quella reazione – di tanti o pochi che sia – qualcosa di intollerabile. Il segretario (ndr: Matteo Renzi) avrebbe dovuto spiegare – lì, subito, da quella tribuna – perché una simile intolleranza una comunità politica la può distruggere. Non lo ha fatto, forse perché non lo sa fare, e questo resta tra i limiti più grandi della sua stagione politica fondata spesso sulla logica della rottura. A me oggi importa sapere cosa ancora si può fare per evitare che quel filo si spezzi definitivamente. Se questo accadesse la colpa di una sconfitta storica ricadrebbe per primo su di lui“.
Lui (cioè Matteo Renzi) non lo ha fatto. E non ha nemmeno citato, nel discorso conclusivo alla Leopolda, quel documento che Cuperlo considera importante. Probabilmente perché Lui probabilmente lo considera di nessun valore, anzi è pronto ad appallottolarlo e buttarlo nel cestino in caso di vittoria del SI al referendum. E Cuperlo che fa? Rimane sempre aggrappato a quel “filo”?
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