Dai mondiali di calcio ai calci nella politica (non solo nostrana)

di NUCCIO FAVA –  Emozioni travolgenti per lo sport che appassiona il mondo intero. Fin dall’antichità, non solo in Grecia e nel Colosseo romano, vari tipi di sport attraevano folle considerevoli. Addirittura si fermavano le guerre per rispettare le gare che richiedevano amicizia e sospensione delle ostilità. E’ accaduto in qualche modo anche per i mondiali di Russia, con l’imperturbabile Putin che appariva soddisfatto e apprezzava il grande successo dell’evento, per l’inappuntabile organizzazione, anche se la sua nazionale non era arrivata alle semifinali.

In qualche modo anche l’Italia è stata contagiata, nonostante l’amara figuraccia della mancata trasferta moscovita. In compenso i nostri calciofili si sono consolati con l’arrivo di Ronaldo alla Juve, che resta,  insieme a Messi, il migliore giocatore del mondo non in grado di scaldare il cuore dei tifosi come comprensibilmente è avvenuto per tutta la notte nei viali di Parigi ed in ogni zona della Francia.

Sono stati scritti volumi sulla psicologia del pallone, sul rapporto del calcio con le masse di tifosi negli stadi ed oltre. Un tempo con le radiocronache e poi con la tv e le sue straordinarie attività di ripresa, rallenty, ripetizione, fino all’ingresso ufficiale anche del Var, che aiuta quasi sempre pure l’arbitro a non commettere strafalcioni, favorendo o danneggiando questa o quella squadra. Ne godono soprattutto i tantissimi che seguono gli eventi calcistici davanti alla televisione, spesso insieme ad amici e parenti, ma solo se non si vuole approfittare del grande spettacolo sui teleschermi allestiti in piazza.

Una volta accadeva in analoga misura con i grandi partiti di massa, di maggioranza e di opposizione, ai tempi della cosiddetta prima Repubblica. Anche il raduno di Pontida con nuova partecipazione di leghisti provenienti non solo dal lombardo-veneto,  che non è però paragonabile alle grandi manifestazioni conclusive con le feste d’una volta dell’Unità o dell’Amicizia. Ricordo bene l’ultima di Enrico Berlinguer e di Benigno Zaccagnini e mi chiedo anche oggi come sia potuto accadere che quei partiti facessero in breve tempo la fine che è avvenuta.

Pensieri tristanzuoli mi raggiungono invece per il vertice di Helsinki che non è certo paragonabile a quello storico di Kennedy con Krusciov, in piena guerra fredda. C’era stata la crisi dei missili a Cuba e il presidente americano ed il segretario del Pcus che erano riusciti in extremis a superare il duro confronto di quella crisi, anche con il contributo di Giovanni XXIII, il papa dell’enciclica Pacem in terris.

Che dire allora dei nuovi due leader del governo del cambiamento, impegnati a contendersi la scena su giornali e sulle tv tra polemiche sui migranti e conflitti col presidente dell’Inps. Purtroppo ci tocca ricordare aspetti scontati ma che racchiudono i nodi di fondo della grave crisi politica in Italia e in Europa. La preoccupazione si allarga se si pensa al modo di confrontarsi dei rappresentanti delle maggiori potenze mondiali in un vertice fuori casa ad Helsinki, prevalentemente tattico, e giocato da entrambi in funzione dei problemi interni e delle rispettive opinioni pubbliche per nulla rassicuranti.  Per certi versi si è avuta l’impressione che entrambi si rammaricassero di non essere i capi autorevoli nel proprio impero   come ai tempi della guerra fredda, che dopo la caduta del muro era apparsa a tutti come il fallimento definitivo di una falsa speranza storica e l’apertura definitiva di una nuova fase storica di libertà e di progresso per tutto il genere umano. Resta invece una condizione permanente  di insicurezza e di grande confusione con l’aggravante di un’Europa smarrita e senza bussola.

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