Snobbati da Renzi – che ha usato Matteo Orfini («C’è posta per te») per far sapere che lui è intenzionato a far passare almeno un mese prima di spiegare (cosa che poi puntualmente non farà) le ragioni della umiliante batosta elettorale – i partecipanti alla riunione della Direzione del Pd hanno ripetuto le solite giaculatorie in politichese stretto per allinearsi, alla fin fine, alla volontà espressa subito dopo il voto dal senatore di Lastra a Signa: «Se la sbrighino coloro che hanno vinto le elezioni (Di Maio e Salvini), noi andremo all’opposizione». Per quanto riguarda il nuovo segretario niente primarie, per ora il reggente è il vice, Martina. Poi, forse, provvederà tra un mese l’Assemblea nazionale del partito, plasmata dal medesimo Renzi. Il quale ha affidato al Corriere della sera la minaccia: «Mi dimetto, ma non mollo». Mollerà solo quando avrà portato il Pd alla quota Bersani: non quella del 2013, quella del 2018. e. s.
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