Il 2015 si chiude con l’iniziativa, su diversi fronti, per arrivare al referendum contro provvedimenti del governo che Renzi stesso considera caratterizzanti. Del resto nella conferenza stampa di fine anno da presidente del Consiglio ha confermato che in autunno cercherà un plebiscito a suo favore sulle modifiche della Costituzione. E’ una sfida che dovrebbero prepararsi a raccogliere quanti non condividono le scelte del governo e che dovrebbe far venire qualche dubbio alla parte del Pd non ancora normalizzata.
Perché si sta aprendo una stagione referendaria contro il governo Renzi? Perché Renzi ha condotto la sua azione di governo rifiutando il confronto non solo con il sindacato, cercando di emarginare la Cgil, ma anche con esponenti del mondo della cultura (definiti con disprezzo “professoroni”) e con i settori politici che non accettano la sua influenza.
Si tratta di un’azione settaria verso chi rappresenta altri punti di vista sociali e politici. Da lui il confronto tra posizioni diverse è da tempo archiviato, in nome della ricerca del nemico di turno. A dargli retta, dovrebbero esserci solo osanna alla sua capacità e nessun contrasto verso le scelte compiute, presentate come scelte ovvie, dimenticando che ci sono sempre versioni diverse e perfino opposte visto che i contrasti sociali, politici, ideali esistono.
Ultimo il caso delle quattro banche salvate dal fallimento con un decreto che ha sacrificato pesantemente un’area di risparmiatori inconsapevoli o almeno poco consapevoli degli investimenti compiuti. Anche in questo caso è falso che l’unica soluzione possibile fosse quella adottata dal governo. La propaganda non basta a tacitare i truffati che, spinti alla disperazione, restano una spina nel fianco del governo, destinata a durare. Del resto, anche Renzi, quando si tratta di ciò che lo riguarda, scopre il valore della diversità e si allontana dal suo ruolo preferito di cantore del pensiero unico, cioè il suo. Basta ricordare come abbia tuonato contro la Merkel in materia di banche e di gasdotti al solo fine di gettare su altri le responsabilità degli errori del suo governo, dopo avere accettato a lungo di ottenere (più che modesti) margini di manovra finanziaria come risultato della subalternità ai vincoli imposti dall’austerità a trazione tedesca e come compenso dell’isolamento del governo Tsipras, abbandonato al suo destino.
Quello che è permesso a Renzi in Europa non è però considerato lecito ad altri in Italia e quanti non sono d’accordo con le sue scelte sono automaticamente considerati gufi, vecchi e passatisti, come tali da non ignorare. Questo comportamento gli è possibile non solo perché è il presidente del Consiglio ma perché è riuscito, con la conquista della segreteria del Pd, a far coincidere largamente i destini del partito con i suoi. Questa è la vera novità. C’era sempre stata una dialettica maggioranza-opposizione e nel tempo la componente critica è stata rappresentata anche da aree che sono oggi nel Pd. Lo scenario futuro non è più caratterizzato da un’alternanza tra schieramenti diversi ma dal tentativo di costruire un potere centrale (il ricordo va inevitabilmente alla Dc) che in parte assorbe, dominandole, e in parte emargina le altre componenti politiche. In sostanza è un tentativo di costruire un regime. Della costruzione di un regime fa parte essenziale un sistema istituzionale funzionale a questo disegno, che la Costituzione uscita dalla Resistenza non permette.
La Consulta ha distrutto, anche se troppo tardivamente, la legge elettorale “porcellum” perché contraria ai principi della Costituzione; ma ha salvato gli atti già compiuti da un parlamento eletto con una legge elettorale illegittima. Però dopo avrebbero dovuto esserci nuove elezioni, con un nuovo sistema elettorale, possibile anche con quello uscito dalla sentenza. Invece no. Il parlamento a trazione renziana – con le più disparate e spesso poco nobili ragioni – ha approvato una legge elettorale iper maggioritaria, l’Italicum, simile al Porcellum, e ha fissato l’asticella dei deputati nominati dai capi partito ad almeno i due terzi degli eletti della Camera. Innestando questa legge elettorale (in corso di approvazione) sullo scasso della Costituzione si avrebbe questo esito: il Senato diventerebbe una camera fittizia che avrà più poteri di quanti riuscirà ad esercitarne e con componenti non eletti dai cittadini, ai quali non debbono rispondere del loro operato. Faccio un esempio: se l’Italia dovrà decidere su pace o guerra l’unica sede in cui è possibile farlo sarà la Camera dei deputati, in quanto il Senato non conterà nulla. La Camera, eletta con il sistema iper maggioritario, avrà la maggioranza di un solo partito, anche se ben lontano dall’avere la maggioranza dei consensi degli italiani, per di più con deputati in buona parte designati, guarda caso, dal capo di quel partito.
Con queste modifiche istituzionali il governo deciderà di fatto su pace o guerra, sempreché Renzi non scopra che potrebbe vincere qualcun altro. In altre parole si prefigura un sistema autoritario, centralizzato, monocratico che nel nostro paese non c’è mai stato dalla Liberazione ad oggi. Forse Renzi non è il primo ad auspicare questa soluzione ma è il primo ad essere in condizione di imporla.
A che cosa serve questo enorme accentramento di potere? Non è solo per desiderio di potere personale e nemmeno solo per tentare di eliminare in radice i possibili contrasti. Parte dalla consapevolezza che l’Italia è prossima a decisioni forti: il rispetto dei parametri europei e il cosiddetto risanamento imporranno scelte che sposteranno drasticamente i rapporti di forza a danno dei lavoratori. Ci sarà chi comanda e chi è comandato, punto. Per questo il sindacato (quando è autonomo) è di troppo. Si pensa di imporre tagli importanti allo stato sociale, introducendo nella scuola come nella struttura statale processi di privatizzazione sempre più importanti. Ci sarà sempre più un uso spregiudicato, di regime, degli organi di informazione, con buona pace dei processi di diffusione delle informazioni. Agitare uno smartphone non salverà dalla riduzione drastica delle vere informazioni disponibili. Il futuro rischia di essere un selfi continuo con la presenza del presidente del Consiglio, considerato eterno perché dovrebbe essere rappresentato solo quello che il potere vuole. La crisi della destra berlusconiana può avere confuso una parte del Pd, che ha finito con l’assumere una posizione di attesa del termine di questa fase per esaurimento naturale, sottovalutando i connotati culturali e politici necessari ad una valutazione critica. Quando questa fase si esaurirà anche il Pd non starà granché bene, perché troppo coincidente con l’oggetto della critica. Quello che guadagna oggi lo paggerà caro domani.
Per questo chi ha un altro punto di vista di fronte al prevalere di una logica autoritaria, di dominio, che impone già oggi scelte non condivise, come è accaduto non solo sull’articolo 18 ma anche sulla scuola con una legge che rischia di deformarne seriamente la funzione, sull’ambiente con norme che hanno dato il via libera a scelte devastanti, è obbligato a scegliere un terreno di scontro non usuale come i referendum abrogativi o la rivendicazione del referendum oppositivo sulle modifiche della Costituzione.
Se il parlamento non ce la fa, e non ce la sta facendo, a contrastare le scelte dominanti, se gli interessi politici prevalenti spingono ad approvare provvedimenti inaccettabili, resta solo la possibilità di fare appello ai cittadini, cercando di renderli consapevoli che le scelte in ballo sono di fondo e decideranno del futuro del nostro paese. Nessuna faciloneria nella scelta referendaria ma la consapevolezza che lasciar correre vorrebbe dire rinunciare a condurre una battaglia difficile ma inevitabile per rendere consapevole il paese dei problemi da risolvere e delle scelte da fare per evitare che metta radici una vera e propria torsione autoritaria.
I referendum sono una via impervia ma anche l’unica che resta per fermare il renzismo prima che diventi regime. Se a primavera inizierà una stagione referendaria che investirà, come sembra possibile, modifiche della Costituzione, legge elettorale, scuola, diritti di chi lavora potrebbe crearsi una diversa consapevolezza nei cittadini e potrebbe tornare la speranza che il regime targato Renzi non è l’unico futuro possibile. Aspettiamoci demagogia a non finire. Renzi insisterà sul taglio dei senatori, ma sarà facile rispondere che si potevano differenziare i ruoli delle Camere e ridurre – anche di più – il numero dei parlamentari con altri meccanismi, indicati ad esempio dalla proposta di legge Chiti, ignorata dal governo. Altre scelte erano e sono possibili, a condizione che queste vengano bocciate.
Fermare è possibile, fermare è necessario. Salvare la Costituzione da manomissioni è un compito primario. Impedire derive su materie come lavoro, scuola, legge elettorale può prefigurare una novità politica. Mobilitare energie sociali e politiche, le coscienze di singoli, offre a tutti la possibilità di contribuire ad evitare una deriva preoccupante e che il nostro paese non merita.
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