Si tratta di “un errore di proporzioni storiche…una licenza di uccidere”. Parole forti ma tipiche di Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, per commentare il recente accordo raggiunto a Vienna fra gli Stati Uniti e l’Iran. Anche prima che si raggiungesse l’accordo il primo ministro israeliano aveva espresso forti dubbi sull’affidabilità degli iraniani. In ciò riecheggiava la retorica della leadership repubblicana in America. Anche i falchi in Iran sono stati contrari all’accordo. Questi tre gruppi si sono in effetti “uniti” per far deragliare il piano dei “moderati” americani, iraniani ed anche di parecchi altri Paesi che hanno collaborato all’iniziativa. Alle fina però la diplomazia ha vinto, anche se l’accordo dovrà essere approvato dal Congresso americano e dal parlamento iraniano.
Non è stato facile raggiungere l’accordo perché i sospetti espressi dai “duri” degli Stati Uniti e dell’Iran ed altri erano sempre presenti nelle menti dei negoziatori. Dopo trentacinque anni di tensioni e di conflitti fra gli americani e gli iraniani però il semplice fatto che si fossero creati rapporti bilaterali diretti era già un grosso passo avanti.
Tutto è cominciato nel 2011 con il suggerimento del Sultano Qaboos bin Sad di Oman che gli iraniani erano disposti a contatti diplomatici con gli statunitensi. In una conversazione fra John Kerry, allora senatore del Massachusetts, ed il Sultano, si arrivò alla conclusione che un accordo sarebbe stato possibile. I primi contatti fra gli iraniani e l’allora segretario di Stato americano Hillary Clinton non furono però promettenti.
Ne seguì l’elezione di Hassan Rouhani alla presidenza dell’Iran nel 2013, che nella campagna aveva promesso di eliminare le sanzioni imposte dal’Ovest al suo Paese, seri ostacoli all’economia iraniana perché colpivano direttamente la classe alta e media iraniana.
L’eliminazione di queste “ingiuste sanzioni”, secondo Javad Zarif, ministro di affari esteri iraniani, era l’obiettivo del Paese del Golfo. Zarif conosce bene l’America dato che ha vissuto per lungo tempo negli Stati Uniti, dove si è diplomato al liceo di San Francisco e poi si è laureato alla San Francisco State University. Il supporto del presidente iraniano e quello del supremo leader ayatollah Ali Khamenei alla fine hanno permesso ai negoziatori iraniani di raggiungere il loro obiettivo.
Da parte loro gli americani hanno anche ottenuto l’obiettivo principale di frenare, anche se non di eliminare per sempre, la capacità dell’Iran di sviluppare armi nucleari.
Ambedue i gruppi di negoziatori hanno dovuto però affrontare i falchi nel loro rispettivo Paese. In America non pochi leader repubblicani sono contrari a qualunque cosa faccia il presidente Obama. Alcuni lo hanno dimostrato anche in questo caso.
Il senatore Tom Cotton, repubblicano dell’Arkansas, aveva inviato una lettera firmata da altri quarantasei colleghi al governo iraniano spiegando che qualunque accordo con Obama deve essere approvato dal Congresso (parzialmente vero nonostante i 2/3 dei voti necessari) e potrebbe essere abrogato da un futuro presidente (il che non è vero). In effetti, Cotton aveva cercato di silurare i negoziati di Obama anche prima di conoscere il contenuto finale dell’accordo.
I negoziatori iraniani hanno dovuto anche loro affrontare avversari a casa loro. Alcuni di questi “duri” non volevano l’accordo per motivi ideologici ma anche economici dato che controllavano il mercato nero sviluppatosi nel Paese per raggirare le sanzioni economiche.
Paradossalmente questi ostacoli dei loro connazionali sono stati usati al tavolo dei negoziati per spingere l’accordo da una parte all’altra. Alla fine però si è arrivati a un buon esito. Come ha detto il presidente Obama, gli Stati Uniti sono diventati un Paese più “sicuro attraverso il duro lavoro della diplomazia invece che attraverso la via più facile della guerra”.
L’accordo non risolve tutte le minacce che possono arrivare dall’Iran né risolverà tutti i conflitti del Medio Oriente. La priorità era di impedire o almeno ritardare l’espansione degli armamenti nucleari. Allo stesso tempo si guadagnerà tempo per continuare a migliorare i rapporti fra i due Paesi e ampliare la cooperazione in altre aree.
“Speriamo che questo accordo rappresenti anche un incentivo per l’Iran a modificare il proprio comportamento nella regione, per essere meno ostile e più cooperativo”, ha detto Obama. Qualche spiraglio si sta vedendo già: l’Iran ha annunciato che il ministro degli affari esteri Zarif si appresta a visitare alcuni Paesi nella regione del Golfo per esplorare nuove opportunità di cooperazione internazionale.
* Domenico Maceri
Docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com).
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