di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi **/ Il franco cfa, la moneta in vigore nell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa), composta da 8 Paesi, quali Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo, ha terminato il suo ruolo. Dovrebbe essere rimpiazzato da una nuova moneta, l’Eco.
Dopo un lungo negoziato, anche il governo francese ha accettato la riforma. Il franco cfa era nato nel 1945, lo stesso giorno in cui la Francia firmava gli accordi di Bretton Woods. Il ‘franc des colonies françaises d’Afrique’ (franco delle colonie francesi d’Africa, franc cfa) negli anni ’60 era diventato il ‘franco della comunità finanziaria africana’.
Tra l’altro, la riforma stabilisce che la Banca centrale degli Stati dell’Africa occidentale (Bceao) d’ora in poi non dovrà più depositare la metà delle sue riserve di cambio presso la Banque de France. Dopo sessant’anni dalla realizzazione dell’indipendenza delle ex colonie francesi, tale obbligo era umiliante e insostenibile. La Francia, inoltre, non farà più parte degli organismi africani di governance finanziaria.
Anche i 6 Paesi dell’Africa centrale Cemac (Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo) stanno muovendosi nelle stessa direzione. Una volta raggiunto l’accordo con Parigi, dovrebbero lasciare il franco cfa per una nuova moneta che vorrebbero chiamare Afrik.
Il sistema del franco cfa si basa su quattro principi: il cambio fisso con il franco e poi con l’euro, la libertà di movimento dei capitali verso la Francia; la convertibilità dei franchi cfa soltanto con l’euro (per cui qualsiasi pagamento verso l’estero deve passare attraverso Parigi); la centralizzazione delle riserve valutarie presso la Banca centrale francese. Inoltre, le riserve d’oro dei paesi africani erano tenute a Parigi e, di fatto, contabilizzate come francesi. La Banque de France, infatti, poteva e può anche decidere la quantità di moneta stampata messa a disposizioni di ciascun paese.
Finora i vantaggi per Parigi sono stati enormi e innumerevoli. Ad esempio, la libertà di movimento di capitali ha permesso un impressionante drenaggio di risorse attraverso lo spostamento verso l’estero dei profitti delle multinazionali impegnate in Africa, soprattutto nello sfruttamento delle materie prime e delle miniere.
Mentre il dollaro ha esteso dal dopoguerra la sua egemonia sui commerci e sulle finanze mondiali, la Francia è stata l’unica nazione a mantenere un forte controllo sulle sue ex colonie. Infatti, la concessione dell’indipendenza negli anni sessanta è sempre stata accompagnata da accordi bilaterali decennali ed esclusivi con i vari Paesi africani garantendosi un conveniente sfruttamento del territorio, delle materie prime, di quelle energetiche, tra cui l’uranio, e il controllo della loro politica monetaria. Gli effetti conseguentemente si sono riverberati anche in tutti gli altri settori, come la difesa, la politica estera, il commercio, l’istruzione, la giustizia, ecc.
In passato, i governanti africani, come Sankara del Burkina Faso, che si sono permessi di sfidare il dominio francese, dopo l’indipendenza, non sono durati a lungo.
Vari studi dimostrano che la dipendenza dalla Francia e la parità fissa con una moneta forte come l’euro hanno comportato una debolezza economica per tutti i paesi delle aree del franco cfa. Negli ultimi 20 anni questi ultimi hanno registrato una crescita del pil pari all’1,5% annuo mentre la media degli altri paesi dell’Africa sub sahariana è stata del 2,5%.
Se l’aggancio all’euro ha garantito una certa stabilità monetaria, per l’altro verso le produzioni locali, sia nel campo agricolo sia in quello estrattivo, hanno subito decenni di mancanza di competitività. In merito, si ricordi che la svalutazione del franco cfa nel 1994 fu accompagnata da violente proteste e moti popolari poiché tutti i prodotti importati subirono un repentino aumento di prezzo.
Necessariamente vi sarà una fase transitoria per tutti e due i gruppi di paesi. La costruzione di un loro percorso economico e monetario virtuoso, oggettivamente, non sarà facile. Sarà indubbiamente una grande sfida di ordine politico, economico e morale soprattutto per l’Unione europea. Come cambierà il suo rapporto nei confronti dell’Africa sub sahariana? Se dovesse irresponsabilmente disinteressarsi a ciò che accade in Africa, inevitabilmente il vuoto sarà riempito dalla Cina e dallo yuan e forse anche dagli Usa e dal dollaro. Il continente diventerebbe una zona di scontro e di “guerre per procura”, come accaduto in passato.
Alcuni economisti africani propongono di ancorare la nuova moneta africana a un paniere delle principali valute mondiali, che includa, tra l’altro, l’euro, il dollaro e lo yuan.
Attualmente l’unico paniere di monete esistente è rappresentato dai diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale. Essi, però, non possono essere la soluzione realistica perché significherebbe sottomettersi ad una istituzione internazionale che per decenni ha pesantemente penalizzato i paesi dell’Africa e quelli in via di sviluppo con le sue politiche di “condizionalità” e di austerità.
Invece, la proposta africana potrebbe diventare uno stimolo forte per la creazione di un nuovo sistema monetario internazionale basato su un paniere di monete importanti. In merito si ricordi che l’anno scorso, in Mali, tutti i governi dell’Unione africana avevano sottoscritto l’accordo per la creazione di un mercato comune africano di libero scambio, sollecitando la riforma del sistema monetario internazionale.
Il tema è da tempo sul tappeto. Purtroppo, finora le fibrillazioni geopolitiche mondiali ne impediscono un suo approfondimento e la dovuta soluzione.
*Mario Lettieri già sottosegretario all’Economia, *Paolo Raimondi economista
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