di SERGIO SIMEONE* – Il caso Uggetti (il sindaco di Lodi condannato in primo grado per il reato di turbativa d’asta e poi assolto dalla corte d’appello), ha riportato alla ribalta Luigi Di Maio, che con la sua lettera di scuse inviata al Foglio ha occupato per alcuni giorni la scena mediatica. Al di là del merito della specifica questione, che appare tuttora piuttosto controversa, il politico di Pomigliano ha voluto con la sua lettera mettere definitivamente in soffitta uno dei tratti distintivi del movimento 5 stelle, il giustizialismo. Si è reso conto, infatti, che condannare in maniera frettolosa e superficiale chiunque sia solo sospettato di aver commesso un reato è una cosa che può essere fatta non solo dai 5 stelle ma anche dai loro avversari, secondo l’antica massima “chi di spada ferisce di spada perisce”. Ed a farne le spese sono stati infatti ultimamente Nogarin, Appendino e Virginia Raggi. Il pericolo, assecondando questa dinamica, è che tutti i partiti, ed i giornali che li fiancheggiano, finiscano per trasformarsi in macchine del fango, più impegnati a sporcare i loro avversari politici che a combatterli sul piano delle idee . Di Maio con le sue scuse ha voluto arrestare questa deriva verso la barbarie politica.
La capacità di Di Maio di correggere gli errori suoi e del movimento dimostrata in questa occasione (anzi anche in questa occasione) mette a mio parere in crisi anche un altro postulato dei grillini: il no al terzo mandato.
Pensate un poco. Di Maio, dopo aver vinto le elezioni nel 2018, ha fatto una montagna di errori. Per citare solo i più clamorosi, ha cominciato la sua esperienza di governo proponendo l’impeachment di Mattarella, che aveva giustamente bloccato la nomina a ministro dell’economia di Savona (autore di un libro dal titolo “Come uscire dall’euro”, roba da fare schizzare a 1000 lo spread!), ha poi continuato andando ad incontrare in Francia (lui vice primo ministro) una fazione di gilet gialli (rivelatisi dei volgari casseurs)che intendeva rovesciare con la violenza il Presidente di una nazione amica. Ha proseguito dando il suo sostegno a Maduro e assecondo la politica manettara e xenofoba di Salvini .
Ma il Di Maio di oggi è molto diverso da quello che abbiamo conosciuto dopo le elezioni del 2018.
Durante questi tre anni ha avuto la possibilità, stando al governo, di misurare la validità degli slogan cari al movimento alla luce della realtà e dei problemi da risolvere e poiché non è uno stupido ha capito che alcuni “dogmi“ del Movimento andavano profondamente cambiati o buttati via perché inutili o nocivi.
Perciò il Di Maio di oggi è rispettoso delle istituzioni, filo-euro ed europeista, sa che non è vero che uno vale uno perché in politica ci sono i competenti e gli analfabeti, ha abbandonato l’ecologismo fatto solo di no, ha accettato di cambiare i decreti di Salvini sulla sicurezza, è diventato garantista.
Ebbene, secondo il principio del no al terzo mandato, a questo punto Di Maio con il suo carico di conoscenze e idee maturate con un duro e sofferto tirocinio, dovrebbe tornarsene a Pomigliano ed il suo posto dovrebbe essere preso da un Di Battista per il solo fatto che costui, furbescamente, non si è fatto eleggere nel 2018 proprio per prepararsi alla successione. Il Dibba farebbe, come il primo Di Maio, di nuovo una montagna di errori, con l’aggravante che, essendo presuntuoso, non sarebbe in grado di apprendere un bel niente portando al disastro il Movimento.
Peccato che questo non lo abbia capito Beppe Grillo, il quale ancora difende il no al terzo mandato. Ma il comico genovese, profondamente turbato dalle vicende del figlio, ha perduto quella lucidità e quell’intuito che gli hanno permesso in più di un’occasione di imprimere repentini e geniali mutamenti di rotta al movimento che ha creato. Non resta che attendere il nuovo statuto del rifondatore Conte.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente delv Sindacato Scuola della Cgil
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