di SERGIO TRASATTI/ Alla fine del Novecento, sull’impero Parmalat non tramontava mai il sole. Più di cento stabilimenti in vari continenti e un marchio con una radice fortissima nella pianura padana, ma noto nel mondo. A crearlo dal niente fu Calisto Tanzi, morto oggi all’ospedale della sua città all’età di 83 anni. Passò dai vertici del capitalismo italiano, alla polvere provocata dal crac miliardario di quello che la procura di Parma definì la più grande fabbrica di debiti della storia della finanza europea.
La storia di Tanzi e del suo gioiellino, la Parmalat, sono inscindibili. E’ una storia di duro lavoro e di megalomania, di formidabili intuizioni imprenditoriali e di artifici contabili che hanno ridotto sul lastrico moltissimi risparmiatori. Di rapporti opachi con politica e finanza, di ribalta mediatica e della piccola e operosa provincia italiana che diventa grande con il boom economico degli anni Sessanta e poi decide di sedersi al tavolo della grande finanza per provare a dominarla, finendo però per esserne travolta.
La Parmalat nacque a Collecchio, alle porte di Parma, proprio nel pieno del boom. A dirigerla un giovane ragioniere che dal nonno aveva ereditato una piccola impresa familiare attiva in campo alimentare e quell’eccentrico nome, che in greco significa ‘bellissimo’. La svolta arriva con due scelte che si riveleranno decisive e che interpretano prima e meglio dei concorrenti la modernità: l’impiego del tetrapak per confezionare il latte e il trattamento Uht che di fatto “inventa” il latte a lunga conservazione.
Il successo è travolgente. Il marchio Parmalat comincia a comparire negli spot delle prime tv commerciali, sulle auto di Formula uno, sulle maglie del Palmeiras, che dominava il calcio di uno dei mercati più importanti per l’azienda come quello brasiliano, e dell’Avellino, città di Ciriaco De Mita, che di Tanzi era amico e sponda nei palazzi del potere. E poi su quelle della squadra della sua città, il Parma, passato in pochi anni dai campi polverosi delle serie minori ai vertici del calcio europeo, con in bacheca due Coppe Uefa, una Coppa delle Coppe e diversi piazzamenti tra il secondo e il quarto posto della Serie A (nella foto a destra: Tanzi festeggia ai tempi del Parma di Nevio Scala).
Un impero condannato però a crescere per non crollare. Crescere a qualunque costo, anche con un’esposizione costante e gigantesca nei confronti delle banche. Un impero che, proprio per questo, poggiava su piedi d’argilla: divenne chiaro in un giorno fra il Natale e il Capodanno del 2003 quando Calisto Tanzi fu arrestato con l’accusa di falso in bilancio su ordine della procura di Milano. Il valore del titolo del ‘gioiellino’ praticamente si azzerò, rischiando di trascinare con sé altri pezzi grossi del capitalismo italiano che con il colosso di Collecchio avevano per anni intrecciato rapporti più o meno chiari.
I bond Parmalat, che nei mesi e negli anni precedenti erano stati acquistati da migliaia di risparmiatori grazie all’intermediazione di alcuni istituti bancari, divennero carta straccia. Ne è seguita una lunga e complessa vicenda giudiziaria, con vari filoni, vari reati contestati e un imponente mole di imputati. Nel processo di Parma, che ricostruì tutta la vicenda della bancarotta fraudolenta che ha polverizzato una cifra vicina ai 14 miliardi di euro, Tanzi fu condannato a 18 anni di reclusione, a cui si sono sommate anche altre condanne.
Per il Cavaliere diventato ex, dopo che il presidente della Repubblica gli revocò il titolo, si riaprirono le porte del carcere, dove era stato per quasi un anno dopo il suo arresto. Fino a che le sue sempre più precarie condizioni di salute non lo hanno portato spesso in ospedale, poi agli arresti domiciliari, trascorsi nella sua villa alle porte della città. Nel primo giorno del 2022 se ne va un protagonista indiscusso dell’imprenditoria italiana, un personaggio controverso, un imprenditore brillante, riconosciuto colpevole di gravi e giganteschi crimini economici che hanno bruciato i risparmi di tante famiglie.
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