E’ morto questa mattina all’età di 92 anni nella sua casa di Calcata, vicino a Roma (dove viveva da molti anni) il celebre architetto Paolo Portoghesi. Lucido fino alla fine, stava scrivendo un libro sulla bellezza. Docente universitario, progettista di fama, Portoghesi è stato il principale esponente in Italia del Postmodernismo. Tra i suoi tanti lavori: la moschea di Roma, Casa Papanice, sempre nella capitale, e la Chiesa della Sacra Famiglia di Salerno.
Suo anche il restauro della piazza del Teatro alla Scala di Milano, mentre fra i lavori per l’estero ci sono residenze (Berlino), giardini (Montpellier), alberghi, fast food (Mosca), la moschea di Strasburgo. ”Dovendo scegliere tre che mi rappresentano, indicherei la chiesa della Sacra famiglia a Salerno (1974), la piccola chiesa di San Cornelio e Cipriano a Calcata (2009) e la moschea di Roma (1995)”, spiegò lui anni fa in un’intervista all’Ansa. “Ma non solo, perché i progetti sono un po’ tutti figli, ogni tanto li vado a trovare”.
Da molti anni, insieme alla moglie Giovanna Massobrio, anche lei architetto, viveva nel borgo medievale di Calcata, alle porte della capitale in una grande e bella casa immersa in un giardino maestoso pieno di animali e abbellito da piante secolari dove aveva trovato posto anche la sua biblioteca e dove ha ospitato spesso anche i gli studenti di geoarchitettura, il corso che ha tenuto per anni alla Sapienza.
Nel 2016 ha donato il suo archivio al Maxxi. L’ultimo lavoro realizzato è del 2019, la concattedrale di Lamezia Terme, un’opera che appare un po’ la summa di tutte le sue riflessioni sul sacro, con gli svettanti campanili in acciaio corten che ricordano la Sagrada Famiglia di Gaudì a Barcellona e la facciata che quasi sembra abbracciare i fedeli invitandoli a entrare.
Amareggiato per le condizioni di degrado di Casa Papanice, Portoghesi era in queste settimane al lavoro su un Manifesto per la conservazione delle opere architettoniche contemporanee. “Resta un tabù”, spiegava, sottolineando le responsabilità dei politici ma anche degli stessi architetti: “Casa Papanice era un ritorno alla natura e alla bellezza, voleva differenziarsi in modo netto dalle architetture che la circondavano. Voleva essere una profezia della città nuova. Ecco, questa è l’innovazione che, forse, è la cosa che meno è stata compresa“. (fonte: Rainews24)
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