A 21 anni dalla tragedia si è concluso l’iter giudiziario per una sciagura avvenuta in via Vigna Jacobini a Roma nel 1998, in cui persero la vita 27 persone, tra cui alcuni bambini. E si è conclusa con un’assoluzione – con la formula ‘perché il fatto non sussiste’ – per Mario Capobianchi, proprietario della tipografia ‘San Paolo‘ ubicata nel seminterrato dell’edificio.
Dopo due annullamenti disposti dalla Cassazione, con rinvio a nuovi collegi per la definizione giudiziaria della vicenda, ieri la Terza Corte d’appello di Roma ha pronunciato la sua sentenza, accogliendo anche la formula assolutoria sollecitata dalla Procura generale.
Capobianchi era accusato di disastro e omicidio colposo. Il lungo iter giudiziario è partito con una condanna a 2 anni e otto mesi, poi ridotti a due anni in appello. Poi il primo annullamento con rinvio della Cassazione e un processo d’appello concluso con un’assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato, cui seguì una nuova sentenza di annullamento della suprema corte, secondo la quale la motivazione della sentenza era illogica sul nesso di causalità. Ieri, infine, l’assoluzione definitiva.
Una vicenda giudiziaria, dunque, che certamente dimostra come i magistrati dei vari gradi di giudizio non abbiano lasciato nulla al caso o alla approssimazione, ma che al tempo stesso dimostra anche che i tempi impiegati perché si arrivasse ad una conclusione siano stati intollerabilmente lunghi a causa della farraginosità delle nostre procedure. Che inducono alla fiducia dell’opinione pubblica.
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