di FEDERICO BETTA-
Con La scortecata di Emma Dante, si è conclusa la fase del Lunga Vita Festival che si svolge negli incantevoli spazi all’aperto dell’Accademia di Danza di Roma. Tra mostre, incontri, workshop e spettacoli, la ricchissima terza edizione della kermesse diretta da Davide Sacco continua tra Teatro Valle e MAG al IX municipio fino alla chiusura del 2 settembre che vedrà in scena Daniel Pennac al Teatro Argentina.
In occasione dello spettacolo Gli sposi – romanian tragedy, abbiamo avuto l’occasione di incontrare i due attori e registi Elvisa Frosini e Daniele Timpano, che ci hanno rilasciato questa intervista.
Dopo tanti anni di lavoro sul racconto molto personale della storia d’Italia, qui siete in scena con un testo non vostro, di un autore straniero che parla di una nazione che non è la nostra. Mi raccontate un po’ la genesi di questo lavoro?
Durante uno scambio di lavoro Italia-Francia, abbiamo conosciuto David Lescote lui ha voluto mettere in scena, in francese, Aldo Morto (un altro lavoro della Compagnia Frosini/Timpano, ndr) e ci è piaciuto molto. Lui è un nostro coetaneo, è autore, attore, regista e musicista, come noi, a parte che noi non siamo musicisti, ma comunque abbiamo un profilo e un percorso molto simile. Ci siamo conosciuti e apprezzati e poi abbiamo letto alcuni dei suoi testi e abbiamo trovato questo, che era scritto per due e… niente, abbiamo pensato di farlo.
Mi ha colpito il tema perché l’evento della morte di Ceausescu e sua moglie, per me, è stato un momento capitale, come se si vedesse la morte in diretta TV, forse per la prima volta. Ma ne Gli sposi evitate il sensazionalismo, avete mostrato i due “sanguinari dittatori”, come venivano chiamati, anche come due persone, siete entrati dentro la lor vita privata.
Il testo è scritto in maniera molto lineare, molto più lineare di quelli che scriviamo noi. All’inizio c’è una presa di distanza tra gli attori e i personaggi, poi il testo entra maggiormente nei loro corpi fino a farli diventare delle maschere. Questo è un processo che abbiamo seguito nell’allestimento della scrittura scenica e anche dal punto di vista attoriale. Noi però, abbiamo deciso di mantenere una sorta di distanza, di tenere una linea d’identificazione, per lasciare un po’ di calore. Il testo descrive una specie di Lady Macbethdei Balcani, un’eminenza grigia dietro un fantoccio, e alla fine i due sono totalmente esagerati, fino alla perdita di contatto col mondo che li mostra quasi come un Ubu Roie consorte. Il nostro invece è un rapporto di amore odio, così come è stato con Moroin Aldo Mortoo con Mussoliniin Dux in scatola(altro lavoro di DanieleTimpano, ndr). Ne Gli sposi, due persone che lavorano insieme, ma che sono una coppia anche nella vita, ci abbiamo messo del nostro, perché anche noi siamo una coppia che lavora e che vive insieme. Nel nostro Ceausescuc’è molto di noi, dei nostri genitori, dei nostri vecchi zii. Come nel finale di Zombitudine(altro lavoro della coppia, ndr), noi eravamo degli zombi, così come anche degli anziani che affrontano il tramonto definitivo, la morte insieme.
Volevo tornare al discorso sulla messa in scena. Mi chiedevo come avete lavorato verso quella che mi è sembrata una vera e propria stilizzazione?
Per la messa in scena abbiamo fatto molti tagli. Abbiamo avuto la possibilità di utilizzare la traduzione di Attilio Scarpellini e poi abbiamo avuto l’occasione di fare un periodo in residenza con David, lavorando insieme a lui sui tagli. Abbiamo collaborato molto bene e lui ci ha lasciato liberi anche proprio non solo di accorciare, ma, talvolta, proprio di modificare il testo. La nostra scelta è stata quella di privilegiare la tenuta ritmica piuttosto della stretta ricostruzione filologica o il mantenimento dei lunghi discorsi avvenuti realmente. Abbiamo deciso di rimanere scarni, puntando sull’evocazione piuttosto che seguire indicazioni testuali che avrebbero permesso l’utilizzo di materiali come video, foto, repertorio o altro ancora più invasivo.
Alcuni tagli hanno valorizzato dei cambi, dei salti narrativi bruschi, che ci sembrava, a noi e all’autore, fossero molto interessanti. Per esempio, volendo privilegiare l’effetto di caduta e di crollo improvviso della coppia di potere. La compressione che abbiamo ottenuto, in fondo, riporta in scena una verità: Ceausescu arriva a fare il suo ultimo discorso dal balcone, nell’89, sentendosi nel pieno della tranquillità, con la sua voce monotona, convinto che il paese fosse nelle sue mani. Poi, all’improvviso, tutto cambia e il popolo gli si rivolta contro.
Ci siamo sentiti liberi anche nell’utilizzo delle musiche che, sì, sono indicate nel testo, ma la scelta dei titoli è stata nostra. Abbiamo preso delle decisioni per avvicinare le canzoni all’orecchio italiano: tutti sanno che Cuore mattoè degli anni ’50 o Raffaella Carrà e degli anni ’70, e questo ci ha permesso una scansione temporale sottotraccia, immettendo cose originali, ma mantenendo fede al testo da un punto di vista più generale. E così abbiamo lavorato in diverse direzioni. Anche per il video finale, un altro esempio, è stata una nostra scelta, di apertura, di sguardo al domani della Romania dopo quella tragedia.
Questa libera scelta di rimanere scarni rende tutto molto simbolico e il racconto ne risulta come obliquo, come se ci permettesse di spiare dietro le quinte di quello che è successo in quella coppia.
Il testo, in maniera comica, riporta la versione occidentale post ’89 di questa coppia. Prima di quell’anno i Ceausescu erano due politici cui l’occidente dava molto spazio, “il comunismo dal volto” veniva chiamato, poi improvvisamente sono diventati i mostri, in un modo incredibilmente repentino. Gli sposisi fa carico di questa visione e la enfatizza, prendendola anche un po’ in giro. Abbiamo voluto tenere un po’ di distanza per chiederci e far chiedere al pubblico, ma dov’è la verità?
E poi bisogna considerare che Lescot è un francese che scrive sulla Romania e noi siamo due italiani che lavorano su un testo di un francese. Il suo sguardo è intelligente, ma ha una visione occidentale, e noi lo filtriamo da parte nostra, c’è quindi un doppio livello di osservazione che forse rende quella sensazione che hai avuto tu.
Vi chiedo un’ultima cosa, sull’unico oggetto di scena che avete, a parte le sedie e i microfoni. Mi ricordo il piccolo dinosauro che avevate sul palco in un vostro precedente lavoro, Sìl’ammore no,e mi chiedevo se questi piccoli esseri hanno qualcosa in comune oppure sono semplicemente un segno come un altro.
Diciamo che l’idea di un oggetto feticcio e bambinizzante ci piace. In questo caso però è diverso dal dinosauro o dalla macchinina in Aldo Morto. Qui è più relativo al testo e meno all’intimità o alla biografia degli autori. Da Lescot veniva proprio indicata la presenza di un cane e noi l’abbiamo messo in scena con un oggetto. Che poi certo, è stato feticizzato come unico segno sul palco, diventando la rappresentazione del bambino che gioca con la vita degli altri, come il potere bambinizzato quando si sente di avere tutte le possibilità a sua disposizione. Ma come dicevamo qui la scelta parte da un ragionamento, da un motivo più mentale.
Vi ringrazio tanto per questa interessante conversazione. Volete salutarci dicendo qualcos’altro?
Ringraziamo te per l’intervista e tutti quelli che hanno reso possibile questo spettacolo. Il nostro light designer Omar Scala, Alessandra Ratti per le scene e i costumi, Lorenzo Letizia per la collaborazione artistica e Camilla Fraticelli per l’assistenza alla regia. Naturalmente anche Gli scarti, l’Accademia Degli Artefatti e Kataklisma Teatro che hanno prodotto lo spettacolo con il sostegno di Pav, Armunia, Spazio zut!, Teatro di Roma e Asti Teatro.
Ci teniamo a dire che tutto il lavoro è stato creato in un’atmosfera molto democratica, è stato un lavoro dove la nostra visione è stata partecipata tra i collaboratori in tutti i processi del lavoro. A partire dall’autore del testo, fino alla scena e all’allestimento, abbiamo scambiato molte idee in un processo non piramidaleed è giusto che si renda il merito a tutti per quello che hanno contribuito a realizzare.
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