di ENNIO SIMEONE – Quella di Massimo Gramellini è, fuor di dubbio, una delle penne più brillanti del giornalismo italiano, che si lascia apprezzare anche per la sottile ironia che alimenta l’inchiostro in cui lui la intinge per comporre il quotidiano corsivo sul Corriere della sera e, una volta alla settimana, per recitarne faticosamente una edizione televisiva su Rai 3 (che avrebbe miglior sorte se ne lasciasse il compito a uno speaker per renderla più comprensibile e meno rischiosa in tempi di coronavirus).
Ma negli ultimi tempi anche la sua raffinata ironia rischia di scivolare purtroppo – anche se, per fortuna, raramente – in qualche melmoso canale scavato dalla dilagante grossolana propaganda politica. L’ultimo di questi mini-deragliamenti è avvenuto un paio di giorni fa quando l’autore si è lasciato trascinare nella rumorosa polemica montata in primo luogo da Giorgia Meloni sulla proposta, appena abbozzata o forse solo ipotizzata, dal ministro Boccia dopo una conversazione con il sindaco di Bari (che è anche presidente dei sindaci d’Italia): l’ipotesi, cioè, di impiegare a titolo gratuito alcune migliaia di volontari, reclutati in prevalenza tra giovani che ricevono il reddito di cittadinanza, per dare una mano ai Comuni nel gestire il rispetto delle regole di contenimento del coronavirus.
Ebbene, allineandosi alla becera ma perversa propaganda di quella parte della destra politica, con in testa Giorgia Meloni, che ha osteggiato il reddito di cittadinanza ribattezzandolo come un regalo a chi non ha voglia di lavorare, Gramellini è partito in quarta accusando il ministro per i Rapporti con le Regioni di avere un proposito ispirato allo stile delle dittature. Addirittura è arrivato a scrivere, nel solco della esagitata propaganda della leader di Fratelli d’Italia, che “la memoria va ai capi-caseggiato fascisti e sovietici che avevano il compito di garantire un controllo capillare delle vite altrui”. Ma si è spinto anche oltre lanciando il grido di allarme: «Voglio sperare che il parto di uno Stato poliziesco non vedrà mai la luce, ma nel caso mi premurerei di suggerire agli “assistenti civici“ (pare si chiamerebbero così) di rispettare per primi il distanziamento sociale. Girandomi alla larga».
Insomma, questo ircocervo introdottosi nei panni di un pacioso corsivista è sconvolto dalla paura che i destinatari del reddito di cittadinanza, dipinti finora anche da lui, come da alcuni suoi colleghi, come dei fannulloni pagati per starsene pigramente sdraiati sul divano, sarebbero pronti a trasformarsi in aguzzini e spioni al servizio del perfido Boccia e dei sindaci, a loro volta trasformati in pericolosi podestà (naturalmente rossi), da cui tenersi alla larga.
Quando scrive o è costretto a scrivere queste cose sarebbe il caso che Gramellini le firmasse con uno pseudonimo. Per esempio: Gramelloni.
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