REDAZIONE – Oggi al processo per l’uccisione di Yara Gambirasio è stata la giornata della difesa di Massimo Bossetti. Che ha attaccato anche i mezzi di comunicazione che con spregiudicatezza e cinismo hanno trattato la tragica vicenda di una ragazzina di 13 anni e gli sviluppi dell’indagine alla stregua di una fiction televisiva, additando all’opinione pubblica l’accusato in condannato senza appello. Nell’accusa i difensori di Bossetti hanno accomunato l’informazione (soprattutto quella televisiva) a quegli investigatori che ne hanno alimentato le distorsioni.
Ma il pino pensiero – hanno detto i difensori di Bossetti – va “alla vittima di un delitto efferato, terribile” e alla sua famiglia. “Un delitto che ha iniettato veleno nei muscoli di Bergamo e che ci ha tutti sconvolti”. E hanno sottolineato: “Prima ancora che da avvocati, ci siamo convinti da padri che la persona che andavamo a difendere non è un assassino”. Una persona per la quale il pm ha chiesto la pena dell’ergastolo.
“Per Bossetti una tortura” – L’avvocato Claudio Salvagni non ha avuto remore ad usare la parola “tortura” in relazione alla vicenda giudiziaria del muratore di Mapello e ha elencato quelli che, a suo avviso, sono “colpi bassi” degli inquirenti: tra queste l’acquisizione delle lettere tra Bossetti e la detenuta Gina in carcere e quel video, che ritrae un furgone, per l’accusa del muratore, che fu diffuso alla stampa: “Si è trattato di un video confezionato come un pacchetto dono, per tranquillizzare la gente, per avere il mostro, il pedofilo, il mentitore seriale, ha detto Salvagni.
Le lacrime di Bossetti – In aula Bossetti ha pianto quando l’altro suo legale, Paolo Camporini, ha fatto cenno alla sua famiglia. L’avvocato aveva prima ripercorso le dichiarazioni di Bossetti per la ricostruzione di quel terribile 26 novembre 2010, quando Yara non tornò a casa, alla sua famiglia, dopo essersi recata in palestra. A proposito del commercialista e del meccanico, presso i quali il muratore aveva ipotizzato di essere andato, l’avvocato Camporini ha spiegato: “Forse nessuno ricorda di averlo visto; ma certamente nessuno l’ha mai visto altrove”.
Invece l’avvocato Salvagni è ritornato sulla prova del Dna e rivolgendosi ai giudici ha detto: “Non avete giurato su un libro di biologia ma sulla Costituzione”, invitandoli ad essere rigorosi nella valutazione della prova.
E’ “assurdo” tratteggiare Massimo Bossetti come un sexual offender perché “la sua vita è stata passata al setaccio e non è stato trovato nulla: la sua vita è sempre stata casa, lavoro e famiglia”, ha aggiunto Salvagni. “Molti uomini hanno l’attitudine ad essere piacioni – ha spiegato il legale -, a essere provoloni, come si dice; ma questo non fa di loro degli assassini”. “Gli sono state attribuite delle amanti – ha proseguito – Ma dove sono queste amanti? La sua vita è appunto casa, lavoro, famiglia e questi sono i dati concreti, non congetture”.
In aula ha seguito l’udienza anche la moglie dell’imputato, Marita Comi, giunta in Tribunale su una Porsche targata Principato di Monaco. Non è venuta invece la madre, Ester Arzuffi, a causa di un’indisposizione, come spiegato dal suo avvocato, Benedetto Maria Bonomo.
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