I lati oscuri del coronavirus: capace di far esplodere la malattia o di passare inosservato. La tesi dell’infettivologo Johan Giesecke

Una malattia che al momento sembra piena di contraddizioni, così come sono state “troppe le affermazioni contraddittorie” che ne hanno dato in molti, “virologi e poco esperti di scienza”, ha rilevato il virologo Giorgio Palù, dell’Università di Padova. “E’ troppo presto per trarre ogni conclusione su questo virus, ma bisogna affrontarlo con un approccio scientifico, considerando che la scienza ha i suoi tempi”, ha aggiunto. “Al meglio di quello che so e delle conoscenze scientifiche disponibili”, ha proseguito il virologo, ecco i principali aspetti del comportamento del nuovo coronavirus che andrebbero approfonditi:

L’ORIGINE. Mentre negli Stati Uniti prosegue la polemica sulla presunta nascita del virus in un laboratorio cinese, la sequenza genetica del virus SarsCoV2 indica una chiara parentela con il pipistrello del genere Rhinolophus, più noto come ‘Ferro di cavallo’. L’unica differenza, ha osservato Palù, è in 4-5 amminoacidi della proteina Spike, la punta che il virus utilizza per aggredire le cellule umane attraverso il recettore Ace2. Alla ricerca di affinità con questo recettore “si era pensato a un animale come ospite intermedio, ma poi non si è trovato”.

NON ERA PROPRIO UN’INFLUENZA. All’inizio qualcuno lo aveva detto, ma molto presto è emerso che si tratta di una malattia molto più aggressiva perché il recettore Ace2 si trova sulle cellule di molti organi, come cuore, intestino, fegato. “Forse fin da subito si poteva pensare che avrebbe potuto infettare altre parti dell’organismo, ma lo si è capito solo dopo”, ha detto ancora Palù. Adesso è chiaro che la Covid-19 non è una malattia respiratoria ma una malattia sistemica.

CONTAGIOSO  SENZA SINTOMI. Anche a questo proposito si era detto il contrario, ma si è visto che “la carica virale è molto alta prima che compaiano i sintomi”. Inizialmente si pensava che dal momento dell’infezione la capacità di infettare durasse circa 7 giorni, ma anche in questo caso i fatti indicano qualcosa di diverso e al momento “non sappiamo – ha detto Palù – per quanto tempo effettivamente in un soggetto può albergare il virus”. Sarebbe utile, ha aggiunto, “conoscere di più la biologia del virus studiando gli asintomatici”.

ANTICORPI. “Che l’immunità ci sia lo hanno dimostrato tante ricerche cinesi, dalle quali emerge che tutti i guariti hanno alta frequenza di anticorpi”, ha rilevato Palù. Resta da capire quanto dura il loro effetto: dovremmo studiare gli individui con anticorpi neutralizzanti in tempi diversi fino a trovare – ha concluso – la concentrazione di anticorpi capace di dare protezione”.

NELLA FOTO: In violetto le particelle di SarsCoV2 durante un’infezione, viste al microscopio elettronico (fonte: NIAID-RML) –

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