di ENNIO SIMEONE – Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha ribadito in Parlamento, rispondendo ad una interrogazione di Forza Italia, ciò che aveva affermato durante il programma «Non è l’Arena» di Massimo Giletti su La7. E cioè che due anni fa la sua decisione di proporre al magistrato Nino Di Matteo l’opzione per l’affidamento della direzione del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) o della Direzione degli Affari Penali del ministero avvenne quando già le voci sul malcontento dei boss mafiosi nei confronti di quel magistrato erano note. Quindi la scelta di proporgli nel successivo incontro la seconda opzione fu frutto di una sua autonoma valutazione, fondata sulla considerazione che si trattava di un incarico simile a quello che era stato ricoperto da Giovani Falcone e quindi più consono ad un magistrato della sua levatura. Pertanto ogni illazione diventa offensiva e lesiva della sua storia politica e della reputazione che gli deriva dall’aver firmato 686 attribuzioni di carcere duro a mafiosi in applicazione del 41bis.
Con l’occasione Bonafede ha annunciato che è in preparazione un suo decreto legge con l’obiettivo di far tornare dietro le sbarre capimafia e detenuti pericolosi usciti di prigione perché affetti da gravi patologie, tali da renderli a rischio contagio da Covid-19 nei sovraffollati penitenziari italiani. In tanti, 376, sono passati alla detenzione domiciliare nel giro di un mese e mezzo. E tra di loro ci sono esponenti di spicco di mafia, camorra, ‘ndrangheta e narcotrafficanti. Tre erano al 41 bis: Pasquale Zagaria, legato al clan dei Casalesi e fratello del superboss Michele; Francesco Bonura, imprenditore mafioso palermitano, e Vincenzo Iannazzo, della ‘ndrangheta. Altri erano sottoposti al regime di alta sicurezza, come l’ergastolano Antonino Sudato. «Questo decreto legge permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni dei detenuti di alta sicurezza e al 41 bis”, ha spiegato Bonafede. L’idea è quella di consentire alle toghe di sorveglianza di riesaminare i casi decisi alla luce del mutato quadro dell’emergenza Coronavirus. Un passo che viene apprezzato dal procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho: “sorpreso” dalle scarcerazioni dei condannati al carcere duro, giudica positivamente la ricerca di “spiragli” per far rientrare “almeno i più pericolosi”.
Intanto dall’Associazione Nazionale Magistrati arriva a un monito al consigliere Di Matteo. “Per i magistrati – scrive l’associazione in una nota – ferma la libertà di manifestazione del pensiero, è sempre doveroso esprimersi con equilibrio e misura, valutando con rigore l’opportunità di interventi pubblici e le sedi ove svolgerli nonché tenendo conto delle ricadute che le loro dichiarazioni, anche per la forma in cui sono rese, possono avere nel dibattito pubblico e nei rapporti tra le Istituzioni. Ciò è richiesto, ancor di più a coloro che fanno parte di organi di garanzia costituzionale“. Il riferimento è al fatto che Di Matteo è ora membro del Consiglio Superiore della Magistratura.
Resta, comunque, il mistero sui motivi che hanno indotto Di Matteo ad esternare, con due anni di ritardo, il suo rammarico per il mancato accoglimento della sua opzione per l’incarico al vertice del DAP anziché del DAF, addirittura poche ore dopo le dimissioni del suo collega da quell’incarico e la immediata nomina di un altro magistrato in sua sostituzione.
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