La Corte di Cassazione ha cancellato la condanna a 10 anni di carcere -che il commissario di polizia Bruno Contrada ha subìto e scontato – per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. “Ci sono voluti venticinque anni di lotta – dice ora – per fare emergere la verità e avere giustizia. Di fronte a una vicenda giudiziaria gravissima, quasi insostenibile. Ma io dal primo momento decisi di lottare fino al mio ultimo respiro perché emergesse la verità e la giustizia”.
“Quando sono stato condannato in primo grado a dieci anni di reclusione nel 1996 dichiarai che qualora avessi commesso quei fatti avrei meritato non dieci anni di carcere ma la fucilazione alla schiena per alto tradimento. E oggi lo ribadisco” ha affermato Contrada incontrando i giornalisti.
Quanto alla decisione della Corte di Cassazione, “non la chiamo soddisfazione perché non credo sia il termine adatto. Ma la consapevolezza che esiste ancora la giustizia. Perché speso in questi 25 anni venivo attanagliato dal dubbio che non esistesse più”.
Alla domanda su quali siano stati i momenti più difficili in questi anni, Contrada ha risposto: “Non è facile individuarli, ce ne sono stati tanti, difficilissimi. Ma forse quello più difficile è stato il primo impatto con la privazione della libertà. La sera in cui sentii alle mie spalle lo stridore della chiave nella serratura e poi il rumore del blindato che mi chiudeva in una cella. Quello è stato un momento che non auguro neppure al mio più acerrimo nemico”.
“Oggi – ha proseguito – ho ricevuto una caterva di telefonate da parte dei miei familiari innanzitutto, fratelli, cognati e nipoti che con me e per me hanno sofferto in questi 25 anni. E poi da parte di amici e colleghi. Di persone che ho frequentato per svariati motivi. Anche da parte di uomini delle istituzioni, anche giudiziari”.
Contrada è tornato poi a parlare della sue esperienza in carcere: “Per avere un’idea di cosa è la sofferenza del carcere bisogna averla provata e subita. Non c’è nessun trattato o libro che può descrivere la sofferenza di esser privato della libertà specialmente se l’uomo è innocente. E’ un’esperienza che non si può descrivere”.
“Per 25 anni la mia vita è stata devastata e adesso arriva la sentenza della Cassazione che conferma quanto dico dal 1992: sono un uomo innocente. Una giustizia un po’ tardiva, visto che nel frattempo ho scontato una pena a dieci anni di carcere…” aveva detto in precedenza Contrada in un’intervista all’Adnkronos.
“Le dico la verità – ha affermato – ero mentalmente predisposto ad avere l’ennesima delusione. Non ero psicologicamente preparato alla revoca della condanna. Dopo 25 anni di delusioni e amarezza non credevo più di avere giustizia”. Invece l’annullamento senza rinvio della Corte di Cassazione lo ha spiazzato: “E’ vero, sono stato preso alla sprovvista. Ci vorrebbe uno psicologo per spiegare il mio stato d’animo, è un groviglio di sentimenti”.
Ed ha aggiunto: “La Cassazione ha annullato senza rinvio la mia condanna a dieci anni che era stata emessa dalla Corte d’Appello nel 2006, quindi non sono più colpevole… ma io lo dico da 25 anni che sono innocente”. “Per 25 anni si è giocato con la vita di un uomo – ha continuato con amarezza – evidentemente ha giocato un ruolo anche la decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo”, arrivata un anno fa.
Secondo la Corte europea, Contrada non andava condannato. Lo Stato italiano ha dovuto versare all’ex agente del Sisde 10mila euro per danni morali e 2.500 di spese legali: secondo i giudici, all’epoca dei fatti (1979-1988), il concorso esterno in associazione mafiosa non “era sufficientemente chiaro”.
“Quindi adesso sono non colpevole sia per l’Europa che per l’Italia e nel frattempo ho fatto dieci anni di carcere. Hanno devastato gli ultimi 25 anni di vita dopo 40 anni di onorato servizio. Ma la dignità non me l’hanno mai tolta“, dice ancora Contrada.
Alla domanda su come si sente oggi, ha replicato, stanco e con un filo di voce: “Come può sentirsi un uomo di quasi 86 anni in uno Stato del genere?… Gli altri hanno provato a togliermi l’onore ma senza riuscirci”.
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