di SERGIO TRASATTI/ Sono trascorsi 30 anni da quello che è passato alla storia del crimine come “Il delitto dell’armadio”: l’omicidio di Antonella Di Veroli. Un cold case italiano ancora oggi senza colpevole. Ma un bossolo e una telefonata partita nella notte tra il 10 e l’11 aprile 1994, potrebbero essere la chiave per riaprire il caso. Il 12 aprile il cadavere della consulente del lavoro residente a Monte Sacro, quartiere a nord di Roma, venne ritrovato sigillato in un’anta dell’armadio del suo appartamento. La vittima aveva 47 anni ed era single. Antonella Di Veroli morì per soffocamento dopo essere stata stordita da due colpi di pistola sparati attraverso un cuscino posizionato sul volto della vittima. Lunghe indagini, due ex amanti sospettati, Umberto Nardinocchi e Vittorio Biffani. Quest’ultimo fu anche processato e assolto. Nel mezzo tante stranezze e tanti errori investigativi, uno su tutti: la prova dello stub fatto da un agente inesperto e rivelatasi sbagliata.
Verso la riapertura delle indagini. Recentemente, l’avvocato Giulio Vasaturo, a nome della famiglia Di Veroli, ha depositato in Procura a Roma una richiesta di riapertura delle indagini dopo l’ottimo lavoro d’inchiesta svolto da due giornalisti: Flavio Maria Tassotti e Diletta Riccelli. I due, rileggendo gli atti del vecchio processo e le carte della prima inchiesta, sono giunti alla conclusione che ci sono elementi per poter arrivare alla verità grazie alle nuove tecnologie, esaminando i reperti ancora conservati. Se ne è parlato a “Crimini e Criminologia” su Cusano Italia TV. Sono intervenute anche Carla Di Veroli, sorella di Antonella, e Alessandra Desoindre, nipote della vittima. Carla Di Veroli, intervistata da Fabio Camillacci e Gabriele Raho, ha detto: “Mi auguro che la Procura di Roma riapra l’inchiesta e che finalmente si possa fare luce su chi uccise mia sorella. Conto molto sulle nuove tecniche scientifiche per arrivare alla verità. Antonella merita la verità soprattutto alla luce del fango che la stampa le gettò addosso solo perché a 47 anni era ancora single e non si era mai sposata”.
Le altre parole della sorella di Antonella Di Veroli. Carla Di Veroli ha aggiunto: “Credo che bisognerebbe ripartire anche dalla testimonianza della vicina di casa che sentì dei passi di due soggetti che inizialmente vennero attenzionati, poi la pista fu trascurata. Voglio la verità anche per dimenticare l’orrore davanti al quale mi trovai quando fu scoperto il cadavere di Antonella nell’armadio. Fu uno shock al punto che per anni ho avuto paura di aprire gli armadi. Ricordo quel terribile momento come se fosse ieri. Di Antonella non avevamo più notizie dal 10 aprile, era come se fosse svanita nel nulla. Il 12 aprile poi ci recammo nuovamente nel suo appartamento e con me e mio marito c’erano anche: Umberto Nardinocchi, Alessandra Campo che era un’amica di Antonella e la signora Colombo. Mio marito a un certo punto uscì dicendo che era meglio andare a formalizzare la denuncia di scomparsa. Quindi, nella stanza in cui ritrovammo Antonella morta, eravamo soltanto Nardinocchi, io, la signora Campo e la signora Colombo. A un certo punto Nardinocchi aprì l’armadio e cominciò a urlare ‘Antonellina, Antonellina che ti hanno fatto!?’. Una cosa è certa, mia sorella conosceva il suo assassino altrimenti a quell’ora della notte non avrebbe mai aperto in pigiama. E l’omicida deve averla anche stordita con qualche sostanza visto che nel suo corpo trovarono tracce di Roipnol. Mia sorella prendeva solo la valeriana per dormire”.
Si è detta convinta che Antonella Di Veroli conoscesse l’assassino anche sua nipote Alessandra Desoindre che all’epoca aveva 15 anni: “L’assassino sapeva tutto, sapeva che mia zia era sola in casa. Era sicuramente una persona che lei conosceva benissimo. Sicuramente ha aperto la porta a qualcuno che aveva molta confidenza e di cui si poteva fidare”. Poi da Alessandra Desoindre un ricordo di Antonella Di Veroli da nipote: “Mia zia era una persona buona, dedita a noi della famiglia. Era una zia affettuosa, una sorella presente con mia madre, non ha fatto mai mancare nulla ai nipoti e vedere su alcune testate giornalistiche come venne dipinta fu una sofferenza per tutti noi. La stampa la ricoprì di fango, ci fu un accanimento mediatico immotivato; nonostante fosse rimasta vittima di un assassino, la dipinsero come un mostro. Chi può aver voluto la morte di mia zia? Me lo chiedo da 30 anni. La mia risposta è dentro di me ed è la stessa di mia madre Carla. Sicuramente a ucciderla è stata una persona che voleva metterla a tacere. Qualcuno che non voleva che mia zia parlasse. Probabilmente, aveva scoperto qualcosa ed era pronta a rivelarla. L’assassino si è messo paura e ha fatto in modo che mia zia non parlasse più. Non ho mai creduto alle ipotesi di delitto passionale o di delitto legato alla restituzione di una somma di denaro. Forse ha scoperto qualcosa che non avrebbe dovuto scoprire, magari legata al mondo del lavoro”.
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