IL FILO CHE COLLEGA LE DISEGUAGLIANZE DI STATI UNITI E ITALIA NELL’ANALISI DI FABRIZIO BARCA

di SERGIO SIMEONE*Grande scalpore ha suscitato una dichiarazione  pronunciata da Fabrizio Barca dopo l’assalto dei più esagitati trumpiani  a Capitol Hill. Dichiarazione nella quale si diceva che gli avvenimenti del 6 gennaio erano il frutto delle gravi diseguaglianze sociali prodottesi in America negli ultimi tempi. Mentre, cioè, tutti (compresi, sia pure con reticenze ed ambiguità, Salvini e Meloni) esprimevano la loro indignazione contro i rivoltosi, ad alcuni è sembrato che Barca, andando controcorrente, volesse fornire una giustificazione al grave attentato contro il sistema democratico americano.

Niente di più sbagliato. Il noto e bravo economista, in realtà, si distingueva dagli altri osservatori perché non si limitava ad osservare il fenomeno e ad avere una reazione emotiva, ma, vichianamente (scire per causas diceva il filosofo cilentano) si interrogava sulle cause che avevano prodotto i fatti del 6 gennaio, perché questa operazione  è la premessa indispensabile per porre in essere le azioni per combatterlo. Barca si chiedeva, soprattutto, come mai l’azione violenta di un gruppo di estremisti ricevesse il consenso di centinaia di milioni di americani. E trovava risposta a questo quesito facendo notare che negli USA si è prodotta una profonda frattura sociale tra ceti che si arricchiscono sempre di più – o quanto meno riescono a difendere la propria capacità di usufruire di un reddito dignitoso – e ceti che si impoveriscono sempre di più.

Questa frattura ha anche una lettura territoriale: ci sono Stati che  “reggono”, come quelli delle coste, e Stati che invece subiscono  la crisi indotta dalla rivoluzione tecnologica e dalla globalizzazione, come quelli dell’interno; aree metropolitane abitate da benestanti,  e zone rurali  dove molte famiglie si trovano al di sotto della soglia di povertà. Questa frattura si è  tradotta infine in scelta politica: si può dire, semplificando, che i più garantiti hanno per lo più votato per Biden, i meno fortunati hanno votato per Trump. E sull’onda della rabbia di questi ultimi si sono mossi gli estremisti che hanno dato l’assalto a Capitol Hill.

La frattura, però, non è insanabile. Il caso Georgia è emblematico. Il fatto  che il partito democratico abbia prevalso (sia pure d’un soffio) in questo, come anche in altri Stati in situazione critica, vuol dire che la speranza che questo partito saprà farsi carico delle ragioni dei più deboli è ancora viva e che  l’impegno che Biden ha preso solennemente di riunificare il Paese sarà onorato.  E Biden sa che  riunificare il Paese sarà possibile solo eliminando la frattura sociale e territoriale che divide gli USA.

L’approccio di Barca all’analisi della drammatica crisi della democrazia americana rende i problemi di questo grande e lontano Paese molto più vicini a noi italiani di quanto generalmente si pensi. Anche qui, da noi, esiste una profonda frattura fra ceti e territori (forse più profonda di quella americana, certamente più antica). Questa frattura ha dato ultimamente fiato, come in America, al sovranismo.

La rabbia delle popolazioni meridionali ha avuto anche da noi esiti paradossali: alla Lega, il partito che per anni ha bollato i meridionali come parassiti e che inneggiava al Vesuvio ed all’Etna perché cancellassero il Mezzogiorno, è bastato dare una leggera verniciatura nazionale per raccogliere alle ultime elezioni politiche più voti del Pd, il partito che ha nel suo Pantheon Giuseppe Di Vittorio ed Aldo Moro.

Anche Conte, allora, se vuole dare slancio e nobiltà al suo tentativo di superare la crisi provocata dalla scellerata iniziativa di Renzi, deve impegnarsi, come Biden, ad unificare il Paese. I meridionali, come gli americani in Georgia, hanno dimostrato , in occasione delle elezioni regionali in Puglia e in Campania, di volere ancora una volta dare credito al centrosinistra. L’Europa si è dimostrata generosa e lungimirante nel fornire al governo dell’Italia governata da Conte gli strumenti finanziari. Hic Rhodus hic salta direbbe (citando Esopo) il vecchio Marx.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del Sindacato Scuola della Cgil.

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