“Chi timbra e se ne va verrà licenziato entro 48 ore” e “il dirigente che non procede al licenziamento rischia lui stesso di essere mandato a casa”. Con questo proclama diffuso dalla tv di turno (per l’occasione Canale 5) nel suo quotidiano dispensare annunci e promesse il capo del governo e del Pd Matteo Renzi ha riaperto un fronte propagandistico che gli è caro, soprattutto in vista di appuntamenti elettorali.
La tecnica è la solita: prendere di mira, di volta in volta, una ristretta categoria di persone che non gode di simpatie nella maggioranza dell’opinione pubblica, appiopparle l’etichetta di “gufi”, di “furbetti” o di “fannulloni”, e darla in pasto alle ire dell’opinione pubblica promettendo di annientarla con una legge-lampo (il solito decreto legge d’urgenza con annesso voto di fiducia), che poi chiamerà pomposamente “riforma”.
E’ toccato prima ai magistrati (con il cervellotico e inattuabile “taglio delle ferie”), poi, genericamente, agli evasori d’ogni specie (ai quali, invece, ha poi concesso benefici, esenzioni e, da ultimo, depenalizzazioni), e così via. Ora è il turno dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Renzi addita – è facilissimo!- quelli visti in tv che timbrano il cartellino persino in mutande e vanno a fare la spesa o addirittura se lo fanno timbrare dal collega e loro restano a casa. E promette: “Ora occorrono in media 102 giorni per licenziare qualcuno; io li ridurrò ad appena due”.
Niente di originale. Si tratta di una imitazione: lo aveva promesso già Renato Brunetta 5 anni fa, quando era ministro della Funzione pubblica del governo Berlusconi. Forse è il caso che il furbetto di Palazzo Chigi se ne inventi una nuova. O, almeno, che prima la faccia e poi l’annunci.
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