E’ morto, dopo un ricovero all’ospedale Cardarelli di Napoli per una grave insufficienza respiratoria, Luigi Necco, brillante e popolare giornalista napoletano, volto storico della trasmissione Rai “90° minuto” negli anni degli scudetti del Napoli di Maradona, ma uomo di vasta ed eclettica cultura.
Nato nel quartiere Sanità di Napoli l’8 maggio del 1934, Luigi Necco ha svolto la sua carriera giornalistica quasi tutta in Rai. Lo sport era la sua specializzazione, ma l’effervescente ironia era la sua nota dominante anche negli altri campi in cui ha messo in luce la sue capacità professionali. Memorabili i suoi collegamenti dallo stadio San Paolo per i servizi sulle partite del Napoli. Fu lui a coniare espressioni come “Milano chiama, Napoli risponde” o ancora fu famosa, durante i Mondiali di calcio in Messico nel 1986, la battuta dopo il gol segnato da Maradona con la mano all’Inghilterra: “La mano de Dios o la cabeza de Maradona”. Maradona gli rispose “Las dos” (Tutte e due).
A fine anni Novanta ha condotto per qualche mese anche “Mi manda Raitre”, dopo l’addio di Antonio Lubrano. Quindi il passaggio a Mediaset, dove si è occupato delle dirette dai campi per “Buona Domenica”. Poi il passaggio a Canale 9. Appassionato di archeologia, per moltissimi anni si è dedicato alla ricerca del tesoro che il celebre archeologo Heinrich Schliemann aveva trovato a Troia nel 1873 e che ufficialmente i tedeschi davano per distrutto nei bombardamenti a Berlino nel 1945.
In un’intervista a Repubblica l’anno scorso ricordò così gli anni del pomeriggio sportivo domenicale: “Eravamo dei pupazzoni manovrati da Paolo Valenti. Morto lui, addio programma. Paolo capì che la nostra banda di buontemponi rappresentava l’Italia del tifo e dei campanili, e il tono giocoso ci faceva bucare lo schermo. Nella mia carriera ho scritto un po’ di tutto, dalla malavita all’archeologia, però niente è stato più bello del calcio”.
Il 29 novembre 1981 Luigi venne gambizzato in un ristorante di Avellino per mano di tre uomini inviati da Vincenzo Casillo, detto ‘O Nirone, luogotenente di Raffaele Cutolo fuori dal carcere. Pochi mesi prima Necco a 90° minuto aveva parlato dell’incontro fra il presidente dell’Avellino Antonio Sibilia, accompagnato dal calciatore brasiliano Juary, con lo stesso Cutolo, in una delle udienze del processo al boss. Durante una pausa dell’udienza Sibilia saluta il boss con tre baci sulla guancia e fa consegnare dal calciatore una medaglia d’oro con dedica “A Raffaele Cutolo dall’Avellino calcio”.
Non nascose le sue simpatie politiche per la sinistra, cosa che nel 1997 gli valse la candidatura e l’elezione a consigliere comunale di Napoli nelle liste dei Democratici di Sinistra.
IL RICORDO
Quando mi indirizzò a Cefalonia verso la tomba di Ulisse
di MATTEO COSENZA – Sapevo che da un momento all’altro sarebbe arrivata la notizia. Da settimane la figlia Alessandra ci diceva che le cose non andavano bene e ci sconsigliava di andare a trovarlo perché era in terapia intensiva al Cardarelli. E quando pochi giorni fa ci ha detto che gli avevano fatto un intervento chirurgico e che stava male, molto male, si era capito che le sue sofferenze stavano per finire.
Luigi Necco ci mancherà, mi mancherà molto.
Da quattro mesi non eravamo più vicini di pianerottolo, ma, tragica ironia della sorte, eravamo di nuovo vicini perché la mia nuova abitazione è a cento metri dal Cardarelli. Ovviamente ci conoscevamo da tempo, mezzo secolo tondo tondo, ma da venticinque anni ci vedevamo praticamente ogni giorno. Avevamo firmato insieme il contratto di affitto a Villa Maio (foto a lato) e lui per entrare e uscire da casa sua doveva passare per il cortile davanti alla mia cucina. Fino a qualche anno fa i suoi passaggi erano controllati. Non appena ne sentiva l’arrivo, Luna, la nostra cagnetta, abbaiava come con nessun altro, e non era amore: evidentemente tra loro non correva buon sangue e Luigi glielo aveva dovuto far capire. Ironia della sorte, e ora glielo confesso e gli chiedo scusa, quando fummo costretti ad abbatterla la seppellimmo a sua insaputa sotto un albero di arance del suo giardino.
Non devo rivelare a nessuno quanta vasta fosse la sua cultura. So solo che io, che pure parlo troppo, quando mi intrattenevo con lui rimanevo per lo più in silenzio perché era un piacere ascoltarlo. Sapeva tutto e non era solo sconfinatamente erudito, ma competente, raffinato e dotato di una visione autonoma sulle cose e sugli uomini. Ogni volta rimanevo impressionato dalla precisione del linguaggio: se avessi registrato quelle “conversazioni” avrei potuto trascriverle senza aggiungere o modificare nulla, neanche la punteggiatura.
Una serata bellissima nacque da un pretesto squisitamente culturale. Ero a Cefalonia, precisamente a Sami e avevo postato una foto. Lui mi scrisse subito che lì nei paraggi c’era la probabile tomba di Ulisse. Andai a visitarla, ne scrissi e mi impegnai a portare qualche bottiglia di Robola da bere insieme.
Dopo qualche mese ci vedemmo da me a cena (foto a destra) e invitai anche Enzo Ciaccio, il mio carissimo amico (in piedi nella foto). Il buon vino, fresco al punto giusto, onorò la paiella di Anna, le alici indorate e fritte e il trionfo dei dolci, quelli portati da Enzo, e la torta a cinque cioccolati che preparai appositamente per lui. Ma il piatto più importante e buono fu lui. Parlò per ore, e neanche un accenno allo sport. Noi tutti a sentirlo estasiati, insaziabili, fino alle ore piccole. Date, persone, fatti, contesti storici, un’enciclopedia di vita e conoscenza, rielaborata dalla sua intelligenza, scorrevano davanti a noi. Quando pubblicai la foto, dalla Calabria si fece vivo un altro mostro sacro della televisione, Emanuele Giacoia (foto a lato), con il quale avevo lavorato gomito a gomito per anni in quella regione. Lui era a Avellino con Luigi e stavano entrando in macchina dopo la partita quando spararono a Luigi. Da decenni non si vedevano. E così nacque l’idea di farli incontrare in una serata da me. Purtroppo, per un motivo e per un altro, di rinvio in rinvio, quell’impegno non è stato onorato e qualche giorno fa, in occasione del suo compleanno, l’ho detto a Emanuele raccontandogli che Luigi era in ospedale e che non sarebbe stato più possibile vederci insieme. Non me lo perdono.
Ma Luigi non era solo l’immenso giornalista di nera, politica e vita, non solo il grande uomo di cultura o l’esperto di archeologia o il cronista e commentatore sportivo, era anche e soprattutto un napoletano. Ci lascia, in tempi di televisione inguardabile, il gioiello di una trasmissione su un canale privato, “L’emigrante”: le puntate sono cammei preziosi su Napoli, da conservare gelosamente. Gli piaceva stare tra la gente, avrebbe vissuto con gioia davanti a un “basso”. Lo trovavi sul muretto del viale del parco a parlare per ore con chiunque passasse, o seduto nel negozio del tabaccaio di piazza Leonardo per chiacchierare con chi entrava e usciva. Gigioneggiava molto, sia chiaro, gli piaceva che fosse riconosciuto e ripagava la simpatia. La sua energia era impressionante. Fino a poche settimane fa, incurante del peso che l’opprimeva, era solito uscire dopo mezzanotte per andare a cene, incontri e chissà che altro. Amava la vita, divorava di nascosto (se possibile, anche a se stesso) le cassate di Bellavia.
Una mattina, mentre sistemavo la siepe del giardino lo intravidi tra le foglie del lauro ceraso. Più che una conversazione fu uno schioppettare di battute. Lui mi sfotteva dicendomi che ero un contadino e io replicavo che lui era un cittadino. Sì, un illustre cittadino di Napoli e, quindi, del mondo.
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