Il ministro Bonafede respinge anche alla Camera il tentativo degli oppositori di strumentalizzare la telefonata di Di Matteo a “La7”

“La nomina a capo del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) nel 2018 avvenne nel pieno rispetto della legge, con la più ampia discrezionalità e non c’è stato alcun tipo di condizionamento”: il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha ribadito nella sua informativa alla Camera ciò che aveva già detto in Senato rispondendo a una interrogazione e, ancor prima, intervenendo immediatamente, per telefono, domenica 3 maggio, nella trasmissione de L7 “Non è l’Arena” condotta da Massimo Giletti, subito dopo la sorprendente (e sconcertante) telefonata del magistrato Nino Di Matteo, ex pm e attuale membro del CSM, sulla sua mancata nomina a capo del Dap due anni fa (!). In sostanza Di Matteo raccontò di essere stato convocato nell’ottobre del 2018 dal ministro Bonafede, che gli propose di assumere la direzione del DAP o quella degli Affari Penali. Lui gli rispose riservandosi una risposta, che andò a dare due giorni con il proposito di accettare il primo incarico, ma Bonafede lo anticipò dicendogli che preferiva assegnargli il secondo incarico, equivalente a quello che aveva ricoperto il giudice Falcone. Di Matteo fece notare surrettiziamente che in quel periodo erano circolate voci di un tam-tam tra boss mafiosi di irritazione per le voci già circolanti sulla sua eventuale nomina a capo del Dap.

Di qui una immediata  campagna della destra (e di Italia Viva, che fa parte della maggioranza, ormai, per metterle bastoni tra le ruote), sfociata nella richiesta di dimissioni di Bonafede da ministro, in quanto…sospettato di aver ceduto a pressioni dei mafiosi, cosa di cui  il vice presidente del governo, che allora era il senatore Salvini, non pare sia sia accorto (per la semplice ragione… che non era vero).

Infatti nel suo intervento Bonafede ha ribadito che “le esternazioni di alcuni boss all’interno del carcere, preoccupati di una possibile nomina al Dap del dottor Di Matteo, “erano già note  dal 9 giugno 2018, ben prima della telefonata da me fatta a Di Matteo”, ricordando inoltre che “tra l’altro, in occasione di quella prima telefonata, fu lo stesso Di Matteo a parlarmi di quelle frasi pronunciate dai boss”.

“La trasparenza e la verità rappresentano sempre i migliori antidoti per dibattiti contaminati dalla menzogna e dalla malafede, dibattiti come quello degli ultimi 8 giorni aventi ad oggetto, per l’appunto, la nomina del capo Dap del 2018”, ha quindi sottolineato il ministro. “Non mi riferisco alle parole del dottor Di Matteo: mi riferisco invece al fatto che su quelle parole pronunciate domenica 3 maggio 2020, il dibattito politico e mediatico ha generato una congerie di caotiche e vergognose illazioni e suggestioni istituzionalmente e personalmente inaccettabili”.

“C’è un confine e un limite a tutto e per me, quel confine, in politica e fuori dalla politica è rappresentato dalla mia onorabilità, nonché dal rispetto degli altri e della memoria di chi è morto per servire questo Paese. Ebbene, questo confine è stato ampiamente superato”, ha proseguito il ministro. “Immagini delle stragi di mafia buttate a caso tra un chiacchiericcio e un altro di improvvisati esperti antimafia, l’alone di mistero intorno al nulla per evocare inesistenti retroscena, sono tutte operazioni – ha rimarcato – che mancano di rispetto proprio alle vittime di quelle stragi e ai loro familiari”. “Adesso è necessario rassicurare tutti i cittadini che credono nella lotta alla mafia perché sappiano che il fronte antimafia rimane compatto”, ha ribadito Bonafede, concludendo il suo intervento.

Ed è stato triste ascoltare l’asprezza delle contestazioni a Bonafede lanciate nel suo intervento alla Camera, per conto di Matteo Renzi, dalla deputata Lucia Annibali, l’avvocatessa rimasta vittima dello sfregio con l’acido lanciatole sul volto da un suo collega ed ex fidanzato e ora in carcere per scontare una pena, in verità, non commisurata alla gravità del gesto.

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