Una fonte del ministero dell’Interno egiziano ha sostenuto che la banda specializzata in rapine a stranieri al Cairo sgominata oggi “è dietro all’uccisione dell’italiano Giulio Regeni”: lo scrive il sito del quotidiano filogoverativo Al-Ahram precisando che nel covo della banda sono stati trovati “documenti appartenenti a Regeni”. La “fonte della sicurezza” del dicastero viene definita “responsabile” (un’espressione che i media egiziani usano per sottolineare l’autorevolezza). Con riferimento ai componenti della banda, Al-Ahram precisa che i documenti sono stati trovati nel loro appartamento.
“Il passaporto di Giulio Regeni”, assieme ad altri suoi documenti, è stato rinvenuto in un appartamento abitato da familiari di un componente della banda sgominata oggi al Cairo: lo annuncia il ministero dell’Interno egiziano in un comunicato diffuso dall’agenzia ufficiale Mena. Ma, naturalmente, la faccenda è tutta da verificare, soprattutto per accertare che non si tratti di un ennesimo depistaggio.
In realtà si ha l’impressione che si tratti di una nuova messa in scena, perché è istintivo chiedersi: perché la banda ha torturato per giorni e giorni Giulio? Perché i banditi avrebbero conservato intatti i suoi documenti e non se ne sarebbero disfatti dopo la sua morte? Sta di fatto che i cinque uccisi non potranno mai contestare ciò che viene loro attribuito. Gli inquirenti italiani non hanno fatto mistero dei loro dubbi sulla versione della polizia egiziana. E lo stesso ministro degli esteri Gentiloni insiste nel dire: “vogliamo conoscere la verità sulla morte di Regeni”.
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